Maurizio Mattiuzza Giacomo Vit
Il post che segue nasce da un commento postato recentemente da Giacomo Vit il quale, a proposito della poesia di Maurizio Mattiuzza postata su Blanc il 22 settembre 2011, scrive: “Sono poesie deboli, sia in italiano che in friulano. Ma dico, avete letto Giacomini, Bartolini e Morandini? Ma di cosa stiamo parlando? Sono esangui, versi mollicci che non reggono a confronto con i nomi sopracitati. Manca una tensione, manca la metabolizzazione di quei padri, mai studiati. Una scorciatoia che porta a niente. Mi dispiace, e non è l'unico caso in Friuli”.
Ecco la replica di Mattiuzza:
“Contravvenendo ad una mia piccola regola, che normalmente mi fa astenere dal commentare opinioni riguardanti il mio lavoro, raccolgo, anche per la grande stima che gli porto, l’invito di Stefano Guglielmin ad entrare direttamente nella discussione. Sì Stefano, è vero: sono diatribe che riguardano soprattutto i poeti friulani e portano quindi con sé il rischio d’un certo provincialismo. Dato che però per me il Friuli e la poesia sono due cose serie quanto basta a meritar di meglio, proverò a sconfinare. Rispondere a opinioni con altre opinioni, magari anche riferendosi a citazioni d’altri, m’annoiava già all’Università, figurarsi ora, ma una premessa ci tengo a farla. I maestri, alla scuola della vita, chi è adulto se li sceglie da solo. A Giacomo Vit, che qui usa termini clinici quali “metabolizzare” però mi corre l’obbligo di precisare che, tra quelli da lui citati e che io a dir suo avrei “letto male” o addirittura non letto, ve n’è almeno uno che oltre a farmi l’onore d’una prefazione e di diverse recensioni mi ha donato qualcosa di incommensurabilmente più grande. La sua stima e il suo affetto, la sua amicizia. Il piacere d’essere stato al suo fianco in tante serate pubbliche e la bellezza di tante riflessioni tra noi, anche oltre la poesia. Non permetto quindi, per amore di verità, a Giacomo Vit o a chicchessia d’intaccare con opinioni vaghe un pezzo della storia della mia vita e soprattutto di altri che mi furono maestri e amici. Detto questo il contenuto della mia biblioteca lo decido io, con buona pace di Vit. Così come scelgo di leggere, accanto ad Amedeo Giacomini, Izet Sarailiċ e Claudio Lolli, oppure che ne so, Dino Campana Federico Tavan e Gregory Corso. Cercare di andare avanti lungo una strada significa inevitabilmente anche allontanarsi, l’han fatto tutti, meno quelli che hanno trasformato l’arte e la cultura in una specie di “tappo reazionario”. La diatriba è vecchia come il mondo e m’appassiona poco, soprattutto quando ha i toni minimi e rancorosi di una specie di “mondo regionale”. La poesia, per sua fortuna, sa essere anche altro che antologie e medagliette votive; a me piacciono i poeti che lo sanno. E tra questi ci sono maestri veri. Detto questo a Giacomo Vit devo comunque anche un ringraziamento sincero. Con le sue opinioni, opinabili come quelle di tutti, m’ha fatto un regalo che inseguivo da tempo: quello d’esser riuscito col mio lavoro, per una buona volta, ad accendere una dicotomia, a dar fuoco alle polveri d’una piccola polemica. Uno status che ad un sincero ammiratore della radicalità artistica come me dona per un attimo l’ebbrezza di un minuscolo Cabaret Voltaire. Sarei bugiardo a non confessare che la cosa mi soddisfa e un po’ pure mi diverte”.