Mi è sempre più chiaro che Blanc de ta nuqueè una lunga e ragionata dichiarazione di poetica, un puzzle nel quale le parti arricchiscono la complessità dell’insieme, diventano exempladi un’impossibile dichiarazione sintetica, un discorso teorico in fieri– per frammenti, problematico anziché apodittico-dimostrativo – sulla possibilità di far poesia al principio del XXI secolo. Non me ne voglia dunque chi si aspetta di entrare in queste pagine per meriti acquisiti o per potenzialità da riconoscere. Che questa sia, malgrado tutto, critica militante mi sembra evidente; che serva non per demolire o lodare, per includere o escludere qualcuno dal campionato dei più bravi, ma per precisare sempre meglio la mia idea di poesia, va invece detto con chiarezza. Io stesso l’ho capito di recente. È una lunga e ragionata dichiarazione che si allarga via via come le mucche al pascolo, così che ogni autore, di pagina in pagina, rende possibile lo spazio del poetico praticabile, lo fonda, ma non lo esaurisce. “Problematico” sta appunto ad indicare che ogni lettura ripensa l’insieme, lo valuta implicitamente, lo modifica per spostamenti quasi impercettibili. Nemmeno io conosco il disegno finale. Quello che so è che la pratica quotidiana della critica, perfeziona la mia visione sul poetico in lingua italiana e nutre la mia scrittura, maturandola.
Questa tarda acquisizione, dopo otto anni di vita del blog, impone ulteriori assestamenti nella scelta degli autori. A questo punto, infatti, non mi interessa mappare nulla e nemmeno dare visibilità agli esclusi. Per queste due funzioni, entrambe lodevoli, ci sono numerosi altri blog in rete. E nemmeno mi preme trovare convergenze di poetica, linee e scuole del contemporaneo, anche se queste aperture inevitabilmente entrano in gioco nel mio discorso. Prendere la parola sulla poesia, ora, per me significa immergersi nel labirinto delle voci con un secchiello che raccoglie tesori e melma, che li districa l’uno dall’altra, giustificando il perché e il per come, ma mai liquidando la risposta in una formula. Non apro mondicon la frase riuscita; piuttosto accumulo tracce possibili, che a volte muoiono o languono e altre volte s’intrecciano, formando una via praticabile. Chi vuole riconoscerle deve perciò attraversare il bosco. E non è uno spot per vendere il primo volume di Blanc, uscito nel 2011 per Le Voci della Luna, ma semmai l’invito a intraprendere una conoscenza più profonda della mia scrittura, dalla poesia alla saggistica, sino alla narrativa. Si può scrivere diversamente? Certo che sì, anzi è fondamentale. Gran parte dei libri che ricevo sono l’uno la copia dell’altro, bellini, formalmente corretti, sofferti e tutti con le parole, le immagini, i ritmi presi in prestito dalla Tradizione, ma senza saperlo. Dovrei forse scrivere di ciascuno le stesse cose? Si abbia dunque pazienza se qualcuno non lo recensisco, malgrado io abbia dato l’impressione che il libro non è male: attenti a non confondere la cortesia con l’interesse euristico, l’amicizia con il discorso critico sulla poesia (non sull’autore). E pazienza se qualche mia stroncatura ha fatto o farà infuriare qualcuno: troverà, e spesso ha già trovato, un bel gruppo di simpatizzanti che riconoscerà nel suo libro un capolavoro. Per quanto mi riguarda, non è compito di Blanc lavorare sul canone, ma, appunto, sulla poetica, la mia, che è plurale non perché manchi di coerenza, ma perché convinta della relazione essenziale fra parola e situazione, due costellazioni energetiche incontrollabili, dalle quali sboccia il grumo-poesia, il mare-poesia, il tronco-poesia, la ciste-poesia, la pozza che siamo soliti chiamare mondo.