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Luigia Sorrentino

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Quale sia “lo spirito che informa” Olimpia(Interlinea, 2013) di Luigia Sorrentino, ce lo dice la stessa autrice nell’intervista a Doriano Fasoli (“riflessioni.it”, agosto 2013): ”È ciò che si è perduto irrimediabilmente: la condizione umana. Questo libro mette il lettore davanti a questa perdita, e gli fa compiere un viaggio, un percorso, alla ricerca di ciò che siamo stati, ciò che abbiamo dimenticato di essere, come umani, ma anche come abitanti del mondo. Olimpia compie questo cammino ripartendo dalle origini, trasportando il lettore in uno spazio e in un tempo assoluto – un non-tempo – lo tiene lì, in un luogo, all’interno del quale tutto è già accaduto. Tutto si è compiuto. Eppure, da questo campo spoglio dell’esistenza, si leva un grido di eternità e di amore. Olimpiariunifica le parti separate, le congiunge, e dice che l’umano e il divino sono dentro la stessa persona”. Questo passo, e il seguito dell’intervista, dimostrano quanto siano legate, in lei, pensiero e creazione, cultura e natura, che si coniugano nella carne degli uomini, scelti nella loro declinazione più classica: l’essere mortali. Ma se gli antichi possedevano la vitalità ancestrale dell’infanzia collettiva, i moderni hanno la triste consapevolezza della senescenza, del tramontare, della maceria quale emblema della sostanza. Olimpiaè pervasa da questo sentire, dalla percezione che la passeggiata nel senso, per non perire nel corpo cadaverico del moderno, deve attraversare i fasti, ora vivi soltanto nella memoria, dell’antico. E se il pessimista Leopardi, ne La sera del dì di festa, si chiede “Or dov’è il suono / di que’ popoli antichi?”, Luigia Sorrentino ci invita a immergersi in quanto respira ancora in quelle pietre, per rifondare un presente non più orfano della grandezza, non più scettico nei confronti dell’armonia, non più ipocrita o disfattista: un presente, invece, in cui “il canto dell’umano” sia qualcosa di irresistibile, come recita La città nuova,l’ultimo testo del libro. Un canto fragile come tutte le verità terrestri, che tuttavia s’impegni a superare i recinti, le proprietà foriere di conflitto, e ponga l’umanità nella dimensione che più le appartiene: quella, appunto, d’essere mortale. “Abbiamo perso tutto / caduti in un eterno / frammento” recita un coro nel capitolo Iperione, lacaduta, nel quale l’amato Hölderlin trova una precisa collocazione strategica. Anche l’omonimo romanzo del genio tedesco narra infatti di un viaggio in Grecia e istituisce una circolarità dell’antico con il presente. Il dettato di Sorrentino, tuttavia, evita il sublimeromantico, cercando piuttosto di mimare il passo virgiliano e, più in generale, classico; tuttavia, in certe figure femminili, in certe descrizioni di giardini olimpici, in certa spossatezza e sfacelo generali, mi sembra di avvertire un gusto decadente, liberty talvolta, con i quali l’eroico sfuma e così il rischio di fingere un sentire, quello classico, impraticabile oggi, se non per frammenti. In Olimpia, Sorrentino cerca di rimanere più alta possibile, inseguendo la misura, grave e composta (due esempi anastrofici: “la giovane in altre mille divisa”,“inaudito era il volto della fonte”), tuttavia la selezione del lessico, rarefatto e volutamente medio, il grosso lavoro versale con gli enjambement, in cui la poeta riesce a mettere in risalto la polisemia sintattica (“il volto sbiancato nell’intangibile / nulla più le apparteneva”, dove “nulla” è, nel contempo, complemento di stato in luogo e soggetto), e soprattutto la sensibilità tesa a uscire dall’impasse disfattista propria alla crisi del moderno,  rende questo libro contemporaneo, intenzionalmente schierato a superare lo spaesamento novecentesco, attraverso la rifondazione di un neo-neoclassicismo in cui la passione ritrovi accoglienza in una dimensione civile, collettiva.


Da "Olimpia"Interlinea, Novara, 2013


L'ATRIO

il sole alle spalle cancella
i nostri volti
veniamo da troppa lontananza
lungo quella discesa
nel porticato
alte colonne ci avvolsero
con le loro braccia

simultanea la superficie
il movimento attorno al proprio
asse, in rotazione

all'ampiezza
offriamo il soffio qui adagiato
la bellezza che ci fu tolta
nella luce inesorabile
dello spegnersi

***

enorme il tempo appoggiato
ai muri

affreschi si staccano dal fondo
nella cornice in movimento
resti di decorazioni
colonne che furono altissime
porte dorate slanciate
chiuse
la montagna
in quel fondo di eternità
restò in attesa della loro ombra

***


in questa pietra
vecchi olivi e melograni
richiamati nel calco

l'ampia finestra socchiusa
dalla forza della nuvola
ardente,
un cristallo di roccia suona

- il cuore del vento esiste –

divina nell'occhio del cielo
solenne li sostenne la notte
che tutto precipitò
in questa pietra

***

il cancello aperto tra due colonne
consentì il passaggio
il marmo della porta ci conteneva

restammo vicini a quelle case
apparivano come in un disegno infantile
dai muri risalivano
statue di divinità femminili
e il santuario innalzato su un podio

ma lì più nulla accadde

sul lato opposto si mostrò la maschera
salita sulla montagna

***

fummo dotati di forza sovrumana
affrontammo avversari terribili
sollevando la coltre
rovesciammo sul mondo
enormi bocche di tenebra

- siamo tornati per scomparire
intorbidare il fondo -

***

la soglia era ciò
che a noi stessi fu ignoto
per molti anni
come le cose
che invecchiano e si annullano

poi qualcosa chiamò
precipitata e muta
lasciò che altri sapessero

- siamo colui che se ne va
abbiamo le sue gambe
le spalle, l'incedere veloce
la traccia del saluto
siamo colui che sprofonda
a un passo da noi -


IL GIARDINO

accedemmo dal fondo
dalla fessura ci sorprese
la luce improvvisa
che gettò su noi
propagandosi dai grappoli d'uva

il caldo giallo dei limoni chiuse
in sé il canto delle foglie accese
la terra,
il nome degli alberi

camminavano in fila
simulacri


***

sostenemmo ciò che fummo
ciò che non eravamo ancora
sul volto nostro scivolò
quello che appena adesso
a noi si mostrava
i piedi dall'erba del giardino
arrivarono a noi

aiuole di giovani rose
ci assalirono
il brusco volo della ghiandaia
sul vigneto
scese in quel varco che avevamo aperto
in un segno certo
il sole vero il sole si piantò
in qualche istante di vita


***

ti seguivo nei campi
rapido uscivi dal retro
il vento liscio accorreva alla tana

ecco la luce, tocca
la tua vita
ogni cellula in luce
sul vigneto le mani alte
nello spazio esiguo l'operosità
la pazienza, il contenuto

non sempre fu possibile scorgerti
nelle braccia del sorgere

***


andasti volgendo ancora
qualche gesto alle ortensie
all'azzurro immaturo
all'inesattezza,
nelle infiorescenze il callistemon
dagli stami scarlatti beveva
l'acqua ancora lo accoglieva,
il terreno


***


un giorno dall'orto scorgesti il mare
forse fu la mano ad aprire
lo sguardo
o la potatura degli alberi
in un podere lontano

tra le mura del fondo domestico
nascondesti il tuo giardino
rapido
da un unico sentiero
sotto viti ricolme
a capo chino dovevo seguirti
in un punto di svolta
sotto il cielo improvviso
---

Luigia Sorrentinoè nata a Napoli e vive a Roma, dove lavora in RAI. Giornalista professionista, ha collaborato con le pagine culturali di diversi quotidiani. Ha ideato e condotto programmi culturali per la radio e la televisione italiana, con interviste a scrittori, poeti, narratori e artisti di fama internazionale. Dirige il primo blog della RAI dedicato alla Poesia, all'Arte, alla Letteratura.  Ha pubblicato le raccolte di poesia C'è un padre (Manni, 2003), La cattedrale(Il ragazzo innocuo, 2008), la silloge L'asse del cuore («Almanacco dello specchio» Mondadori, 2008), La nascita, solo la nascita (Manni, 2009), Olimpia (Interlinea, 2013). Una scelta di sue poesie è recentemente  uscita su «Paris Review» e su «Nuovi argomenti».

 


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