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Marisa Righetti

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Lisa ama il blues (Laboratorio Coessenza, 2011) raccoglie tutti gli editi e gli inediti di Marisa Righetti, poetessa cosentina di lunga pratica ma scarso riconoscimento nella patrie lettere. Forse per il suo rifiuto a mescolarsi con logiche corporative e certo per un carattere aspro, che emerge sin dalle prime liriche e trova, nei tre versi che seguono, il proprio sigillo: “Signu vilinusa / cumu l’oleandru / l’arburu di pazzi”.

Il libro si articola in XIV capitoli, che riorganizzano, come in un canzoniere, le tappe fondamentali della sua poesia in lingua, a partire dalla tragedia della nascita, dal precipitare nel mondo dei vivi, sentendosi  un “pesce fuor d’acqua”, “che si defila”. A dominare i primi due capitoli è la famiglia: “decima figlia” di “quindicesima gravidanza”, di una madre “che batteva la testa contro i muri” e un padre “muto presente / che si sentiva innocente. / Come avesse piovuto”.
La ricerca di una collocazione nel mondo e di una relazione forte, conflittuale, con la madre; la memoria di un padre autoritario verso cui agiva un sentimento edipico, sono vissuti come destinali o, laicamente, inevitabili (quanto l’avvento della pioggia, appunto), a cui fare resistenza privata con la scrittura. “Scrivere – ci dice in calce al libro –  fu strumento per forare la massa di macerie che mi era piovuta addosso”, senza sprofondarci dentro, tuttavia: “Solo la paura della morte mi impedì di chiudermi per sempre in quella stanza”.

Questa consapevolezza tragica è compensata con l’ironia, che a tratti diventa sarcasmo, verso la vita e i suoi burattini, specie quando questi appartengono alla sua biografia amorosa. Prudentissima nello spingere sul pedale del sentimento, la Righetti formalmente lo evita agendo sulla paratassi e scegliendo metafore che si consumano sulla linea della frase, che non fanno in tempo a gonfiare per diventare sintomi o mali conclamati oppure, ancora, temprando le metafore con il fuoco della ragione, così da farle sembrare atti naturali: “Perse il suo profumo / per non attrarre i cannibali”.
La seconda parte del libro (capp.V-VII) cambia radicalmente prospettiva: se prima dominava “il mare della soggettività”, per dirla con Dario Bellezza, ora la Righetti fa un passo indietro, per lasciare spazio agli altri, nella fattispecie ai quaranta ladroni, lei fra questi, che occupano un condominio. Il ritmo si fa più incalzante. E anche quand’è disteso, la parola rimane originale. Le scelte retoriche ora tendono ancor più ad eclissarsi, per dare spazio alla vita che brulica. Una vita degradata, nell’ambiente e nelle anime che la popolano. Sembrano testi nati negli anni Settanta, entro un contesto culturale di sinistra. Via Aladini (lettera da un’occupazione)si apre con una prosa di tre pagine, che mette a fuoco la questione: “Andrea ha detto che se ci sgombrano, lui non s’arrende, s’attacca al termosifone. Io e Massimo proferiremmo volare, piuttosto, come le anatre del parco. Come Peter Pan, esulta lui”.

Le poesie più belle di Lisa ama il blues (ed è la Lisa dei Simpson, in un episodio omonimo edito da Coessenza) sono nei capp. I, III eIX, in cui troviamo tensione lirica e racconto, esemplarità e intimità, e la voce, meglio che altrove, coniuga esperienza e canto, ideologia e retorica. Nel cap. IX, in particolare, l’autrice, che una ventina d’anni fa pubblicò su “Salvo Imprevisti” – un importante quadrimestrale di poesia italiana fondato da Mariella Bettarini e Silvia Batisti nel 1974 (qui il link dei numeri scaricabili) – gioca fra l’altro con i nomi di due poeti ben conosciuti negli anni Settanta e Ottanta: Chiara Scalesse, verso la quale sembra rimproverare la correzione dell’arcaismo “vindice”, e Gino Scartaghiande (tra i fondatori di “Braci” nel 1980), che diventa un verbo: “Ma sorvoliamo / scartaghiandiamo”. In queste poesie il carattere spigoloso torna a farsi sentire, così come l’ironia, il cui gioiello sarcastico si mostra nella poesia successiva, nella chiusa edipica: ”Il poeta è angosciato / la rosa la voleva casta / come sua madre”.

Malgrado qualche caduta – per esempio un eccessivo disincanto, che a volte scheletrisce il verso, svuotandolo di quel minimo di polpa della quale il lettore avrebbe potuto emotivamente nutrirsi oppure in un eccessiva frammentazione del dettato non supportata da parole e sintagmi pesanti come pietre, capaci di compensare il depotenziamento sintattico – Marisa Righetti mi sembra una poetessa di tutto rispetto, che merita attenzione.





Da genitori entrambi gemelli
non nacquero arieti
né scorpioni né capricorni
né vergini né acquari.
Solo un pesce
fuor d'acqua.



**

La scala è a chiocciola
il tirannosauro madre
al piano alto
incombe
respira nella sua carcassa
lei il pavone
lei la capra
dal lungo pelo saggio
che sale più in alto e vede
lei la buona mucca
che provvede al latte…
io il pesce
che si defila



**

Ditele quello che vi pare.
non è più una bambina
Non vi faccia pena.
Ha imparato a difendersi.
Non â la metà di nessuno
tanto meno del cielo.
Finché è viva sarà intoccabile
come ogni animale ferito



**

Non osa sollevare i suoi occhi
adesso da lì
dal suo corpo
disteso sul lettino.
Ha dovuto amputare parti di sé
per essere veramente sola.



**

Intanto che lei se ne stava
Come cane da corsa
In attesa dello sparo
L’altro scendeva mogio
Impermeabile blu appeso addosso
Mogio e quieto
Col passo da barone
Titolo nobiliare acquisito
Per via della rigidità degli omeri
E culo contrito.
Saliti in macchina
Alla ricerca di un bidone
Per fare benzina alla mini
Ferma da due giorni
Un meccanico evangelista
Aveva detto che mancava la lenza
E la fumata allora.
Tutta fatica sprecata
Ora lei sentiva solo stanchezza
E dal sedile accanto
Una richiesta silenziosa d’amore
Cupa e silente
Una tragedia greca
Senza tassa di circolazione
Un etto d’erba
Blocchi stradali dappertutto
Per via della retata
Alla banda di Perna.
Che malavita!
La malavita.



**

Nell’indifferenza del traffico
La Venere di Botticelli
Bucando i secoli
È giunta fino a noi
Impressa su una lattina d’olio
Esposta all’autogrill
La prendono i camionisti di passaggio
Prima la pagano.
Poi se la guardano
Come una puttana.



**

Io e la scrittura
andiamo avanti così
da troppi anni
Non troviamo il tempo
Non troviamo il modo
Non ci rispettiamo abbastanza
Non abbiamo il coraggio di rompere
Forse ci amiamo.



**

Scrivere è innaturale
A meno che non si sia gobbi, paralitici
O assolutamente poveri
Scrivere infatti non costa niente.
Per ogni albero abbattuto
Ci sono miliardi di fogli di cartastraccia
Scrivere è un atto
Di assoluta devozione all’albero.



Marisa Righetti si racconta così:
“Sono nata nel 1947. Ho la maturità classica, ho studiato Filosofia a Roma senza  laurearmi. Ho cominciato a scrivere  intorno ai sedici anni: mi piacevano i poeti beat.
Poi non scrissi niente per anni. Mi tenni molto impegnata politicamente, tanto che, a diciott’anni, finii in carcere, dove rimasi per 13 giorni.
Poi venne il primo figlio e la necessità di mantenermi. In quel periodo ho partecipato ad un megaconcorso in banca e l’ho vinto.
Tra lavoro figlio divorzio nuova relazione (una  malattia, come Barthes  definisce l’innamoramento) che finì in tragedia e lutto (il mio compagno è morto a 28 anni con un cancro), la scrittura non mi riguardò se non in chiave terapeutica, scrivevo quaderni di analisi del mio malessere senza mai venire a capo di niente. Per anni. Finì in un bolo isterico che  risolsi licenziandomi dalla banca e mettendo al mondo un altro figlio con un uomo nuovo.
Poi mi sono trasferita a Firenze dove ho vissuto per molti anni. Nel 1995 ho pubblicato Via Aldini,  mentre vivevo in uno stabile occupato; sono venute la Bettarini e Gabriella Maleti, oltre a Giancarlo Cauteruccio di “Kripton”, allora direttore del teatro di Scandicci, anche lui cosentino, sotto una pioggia torrenziale. Via Aldini edizioni Gazebo è del 1995.
Nel 1997 sono ritornata a Cosenza dove per dieci anni sono stata responsabile delle attività culturali del Centro di Informazione Sessuale del Comune di Cosenza. Nel  2001 è uscito per Edizioni Meridionali  Chimica sentimentale, risultato del nuovo matrimonio (mater ed ammonio) e degli studi su sessualità  e l’amore (cancellare dal vocabolario la parola amore). Questo mentre il mio ruolo professionale ed educativo mi imponeva certezze che non possedevo. Su Chimica sentimentale ho provato a dire le cose come in realtà stavano, almeno  per me. Bisognava estrarre come un succo la poesia dalla vita.  E s’è visto: ce n’era poca.
La raccolta Lisa ama il bluesè uscita nel 2005 con la casa editrice autogestita e di cui ho fatto parte, inaugurandone la collana di poesia, Coessenza.  Ho pubblicato diversi racconti e poesie inedite su riviste come  “Salvo Imprevisti”, ora “Area di Broca”, su “Poesia”, “Jnonja”, “ Capoverso”, “Quaderni del poeta”, “Teatro Rendano” etc.
Mi sono riavvicinata alla poesia e alla scrittura negli ultimi quattro anni. Nel frattempo  ho iniziato a praticare seriamente il buddismo, non come religione, ma come fede in una dimensione spirituale  in cui credo e a cui mi affido, con qualche  temporaneo sbandamento e caduta. Sulla mia esperienza di pratica del buddismo ho scritto un  testo ancora inedito: Daimoku. Ho scritto un testo teatrale: Sedare dolerem divinum est che non riesco a finire anche se è finito”.




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