In questi giorni l'esperienza poetica e artistica di Caterina Davinioè in primo piano in rete. Finalmente, visto i vent'anni e passa di ricerca nella poesia visiva e neomediale. Mi preme però qui parlare di Fenomenologie seriali (Campanotto 2010), un libro con versione inglese a fianco che, pur richiamando nel titolo un'operatività avanguardistica, è pienamente lineare, anzi talvolta persino conservatore nel trattenere espressioni attraversate dallo struggimento ("ho pianto di speranza", "Poi venne il pianto / disperato", "sciolse nodi di dolore") e da una timbrica che sfiora l'aulico e/o il sublime ("cresciuta in gemme turgide", "piango l'ora priva, / l'aria greve riarsa tra corteggi di vespe").
Con Fenomenologie seriali siamo di fronte una lingua poetica, nei suoi momenti meno convincenti, tutta immersa in un alone malinconico, introflesso, poco combattivo, che si lascia talvolta vincere da immagini deboli o già consumate dalla tradizione ("Volavo / come un angelo / dalle grandi ali / dolorose", "laghi come specchi", "le lacrime / diventarono sangue"). Lotta che invece si mostra ben più poderosa nei testi che danno il titolo al libro, più ispirati di Squeeze, la seconda sezione dalla quale ho tratto i versi sopracitati.
Le 20 poesie della prima sezione, più che serializzare– secondo la tecnica musicale della costruzione preordinata di una successione di fenomeni concreti ben riconoscibili – mettono in campo una drammaticità d'impianto espressionista, col taglio diagonale della scena e l'uso di verbi dal forte impatto emotivo, una drammaticità che si combina fecondamente con il bisogno di tenerezza, trasmettendo al lettore un empatia di grande effetto emotivo. La vera lotta messa in scena è quella tra Chronos e Kairos, tra il tempo indifferente dell'orologio cosmico e quello dei mortali, che pur fugge tuttavia. Niente di nuovo, ma raccontato con il grido che solo in novecento ha saputo realizzare: effetto di un naufragio ontologico a cui, anche la Davinio, contrappone la fenomenologia degli oggetti, arche o zattere a cui aggrapparsi verso un dove sconosciuto e che spaura.
L'amore di coppia, che fa da galleggiante alla deriva, diventa l'unico antro abitabile, per quanto buio e paradossale, tanto da essere il bene "che uccide dentro". L'ossimoro evidenzia la posizione non decisa dell'io lirico nei confronti del Tempo: a volte sembra propendere per l'ebbrezza che tutto brucia (sulla scorta anche delle poesie giovanili – assai intense nell'ispirazione – raccolte in parte ne Il libro dell'oppio, puntoacapo, 2012); talaltra soffre la mancanza di un "per sempre" che eternizzi la gioia. L'oscillazione tra Chronos e Kairos, disequilibria l'identità, ma – quando tutto funziona – le permette di costruire versi efficaci, sintatticamente slogati, sincopati nel ritmo, capaci di aprire l'interiorità nel suo essere antro complesso di natura essenzialmente linguistica.
*
qui
confitta pianta tutta
radici
memore del pianto come della linfa
e nel tronco imprevedibili, aride felicità
(e nelle pupille nidificano
uccelli)
nel sacco un'esistenza raschiata nuda
fino alle ossa
Da non poterla neppure pronunciare
Da non dirla invano
Da tenerla segreta come un sanguinoso
dio senza tempio.
*
Il bene camminava scalzo
Era nostro malgrado
E nonostante noi
Andava intorno vago
sole scappato alle orbite,
e le traiettorie del tuo spazio avevano
lunghe curve,
non misurabili parabole.
Mentre io ti giuravo che sempre.
E spergiuravo che
per
sempre.
La pensilina tagliava prospettive oblique tra cielo e terra
Si conficcava fra binari e nubi grigie
Con il nostro precario senso
Fendeva la retina passiva
Il cuore fermo.
*
Il giallo oro verdicante come
angoscia
Che fende il mio spazio - cielo il liquido
sole mio cielo -
Tuonava in alto, poco sopra l'orizzonte
E il verde grida nell'erba
E il piombo delle nubi chiude il
coperchio
E l'acqua diamantina conserva tutto del
mondo nei solchi di terra
e ancora un po' di mondo
e la luce tutta da bere, fredda
E il sangue di rampicanti avviticchiato
ai pini
E il verde nero dei pini
E il mio passo di sole tra i fili di grano
E la tua casa, prima del bosco
E la tua casa prima
le cose tue l'aria tua
il mondo tuo e il pensiero tuo
gli amati tuoi
E il tuo tempo
Il tuo tutto
Il tuo ferro la tua pietra.
*
Così forte, e mi chiedevo cosa fosse
Perché l'urlo di dicembre schianta
querce secolari
E io strappo le mie foglie i miei rami
E io pianta nuda non odo che stormire
di fronde
e rumore di
ali tra le non-foglie i non-rami
e il freddo del tronco rotto
e il fuoco
del non-tempo
non ho tempo
non ho più tempo
Conto secondi secolari
anelli nel tronco dei nostri alberi,
spezzo tutti i rami nostri e nulla
mi consola.
E scalza sul prato ferito (rosso-sangue)
non lascio tempo
niente al caso
a deserto, le gemme.
*
Tu
desiderio-respiro
te tutto
tu senza sempre
senza mai
tu tutto respiro
ossigeno
e battiti di cuore
lacrime e cenere e grandissimi fiumi
e finissima
polvere
tu tutto odore
tocco sapore e lingua.
*
Cocaina
III.
E tu l'ami quella nostra morte
allineata sul vetro,
la sua carne di polvere ti fa fragile,
quel flusso di variazioni concave, malate, sorde,
ferventi,
assuefatte al fardello
di sensi tremuli,
di pupille molli,
di matrici allenate
a Vita in eccesso, dici,
candide di graffi
e luce feroce
a portata di passo, di cuore,
dissipata con una preghiera mattutina
e lo sguardo al cielo.
2004
*
Ballata dell’amore eterno
Che mi pensi.
Che sorridi pensandomi.
Ti crederò immerso nella tua fronte
Che non dimentica.
Dinanzi
Al tuo lieto fine
Al pietoso cuore
Con la musica amica.
Con la mano stretta
nel palmo stregato.
Con gli occhi che sanno
e carezzano da lontano.
Così (amerò)
- Voglio amarti per sempre -
in una ballata dell’amore eterno.
Nata a Foggia nel 1957, Caterina Davinioè cresciuta a Roma, dove dopo la laurea in Lettere all'università Sapienza si è occupata d'arte contemporanea e nuovi media, come autrice, curatrice e teorica. Presente in antologie e riviste internazionali, ha pubblicato,
in poesia, Il libro dell'oppio, puntoacapo 2012; Fenomenologie seriali, Campanotto, 2010, menzione speciale nel Premio Nabokov 2011, con testo inglese a fronte, postfazione di Francesco Muzzioli e nota critica di David W. Seaman; il romanzo Còlor còlor, 1998; il saggio Tecno-Poesia e realtà virtuali, 2002, con prefazione di Eugenio Miccini; la raccolta di scritti sulla poesia elettronica Virtual Mercury House Planetary & Interplanetary Events, libro con dvd, 2012. Ha ottenuto riconoscimenti come finalista nei premi Lorenzo Montano, Franco Fortini 2011,Scriveredonna 2010 (Pescara), per l'inedito.
Tra i pionieri della poesia digitale e della computer arte nel 1990, ha esposto in oltre trecento mostre in molti paesi d'Europa, Asia, Americhe, Australia.
Dal 1997 ha partecipato e creato manifestazioni di poesia e arte multimediale in sette edizioni della Biennale di Venezia ed eventi collaterali.