Questa mia recensione è uscita nel numero 286 de "l'immaginazione", marzo-aprile 2015 (Manni editore).
Il titolo esatto del libro è Il fazzoletto di Desdemona. La letteratura della recessione da Umberto Eco ai TQ (Bompiani 2014)
Pegorari è un raro intellettuale che ha fatto tesoro del disincanto vittoriniano laddove, nell’editoriale al primo numero del “Politecnico”, invita gli scrittori a occuparsi anche “di pane e lavoro”. Il fazzoletto di Desdemona, infatti, racconta la disfatta politico-economica italiana del XXI secolo e gli incalcolabili danni, sotto il profilo esistenziale e dei diritti di cittadinanza, delle fasce deboli, primi fra tutti i giovani salariati e il ceto medio. Questa realtà emerge attraverso l’analisi delle opere narrative (una quindicina, uscite fra il 2004 e il 2013) dei trenta-quarantenni, fautori di una rinascenza civile antiepica, da leggere sia come espressione autentica di una generazione senza futuro, consegnata alla precarizzazione professionale e identitaria, e sia come effetto dell’industria culturale, che, dagli anni sessanta, assorbe le spinte antagoniste per metabolizzarle nel mercato.
L’indagine sociologica e l’analisi letteraria sono i due fili che tessono il fazzoletto di questo giovane studioso, uno dei pochi accademici a seguire seriamente lo svolgersi della produzione estetica delle nuove generazioni, qui intersecata con le motivazioni socio-economiche e con il processo storico in atto, particolarmente colpito dalla crisi del 2008.
La domanda d’apertura mette subito in chiaro l’obiettivo del saggio: che ne è della letteratura in un’epoca di recessione? E, ancora più profondamente: che ne è della realtà nella fase postmoderna, laddove il moltiplicarsi delle agenzie culturali, l’evoluzione tecnologica e l’ipertrofia dell’informazione agiscono sui fenomeni, deformandoli, creando con ciò una “postrealtà” dentro la quale finzione e verità tendono a confondersi? Domande che Pegorari usa come grimaldelli per smascherare la narrazione capitalistica e la falsa liberazione annunciata della new economy, quel discorso totale di una globalizzazione del mercato che è racconto senza alternative, “ordine unico del mondo”. Tesi che trova un riscontro filosofico nel recente libro di Diego Fusaro, Minima mercatalia (Bompiani), e dalla quale forse è possibile ripartire per un discorso sul postmoderno che non sia una resa al labirinto costruito dal mercato, bensì una via per ripensare le categorie fondamentali (soggetto, oggetto, relazione, verità, realtà) dopo che la modernità liberal-capitalista le ha svuotate di ogni relazione con il finito.
Lo sganciamento dalle coordinate spazio-temporali ordinarie, con il suo carico fecondo di futuro, ha trovato nei giovani scrittori una necessità esistenziale prima che stilistica e/o ideologica: ce lo racconta bene Pegorari analizzando, nel primo capitolo del libro, i romanzi sul lavoro, dando particolare spazio a Michela Murgia, Silvia Avallone e Mario Desiati, senza trascurare la poesia operaia, dove emerge, per completezza e sensibilità, Fabio Franzin.
Il secondo capitolo mette al centro il ‘libro’, come prodotto mercantile e quale risultato ultimo di una filiera di una manovalanza intellettuale, chiamata da qualche anno “cognitariato” (traduttori, operatori culturali, insegnanti, redattori ecc.). La crisi dell’editoria, ci spiega l’autore fornendoci un dettagliato resoconto statistico, poggia sulla svalutazione della cultura umanistica, vero volano della democrazia, in quanto capace d’insegnare il pensiero critico e il confronto non belligerante. È evidente la motivazione civile del Fazzoletto di Desdemona, che peraltro esiste solo come ebook, a riprova delle critiche dinamiche di trasformazione dell’attuale editoria.
Il terzo e ultimo capitolo sintetizza e approfondisce le acquisizioni teoriche precedenti, prendendo spunto dall’Opera di Umberto Eco, considerato il miglior fabbro e al tempo stesso studioso acerrimo del “capitalismo informazionale”, ossia di quell’ente capace di riformulare l’orizzonte di senso a partire dalla fabulazione onanistica del reale. Questa scelta è particolarmente interessante, nella misura in cui Eco incarna, con Calvino, una certa idea di postmoderno che non si lascia trascinare dall’equivoco per il quale, essendo tutto interpretabile all’infinito, la realtà si dissolve: c’è un punto solido, infatti, un nodo al fondo di ogni fatto che resiste al suo dissolvimento (ne parla anche Maurizio Ferraris sin da Ricostruire la Decostruzione). Ne consegue che l’Opera dell’Alessandrino, analizzata con grande maestria e ammirazione da Pegorari, lungi dal fare propri i tic del postmodernismo più à la page, giunge al cuore delle debolezze postreali contemporanee, tentando una ricomposizione della totalità, di “un principio d’ordine conoscitivo” per quanto impossibile; un tentativo via via segnato, in Eco, da un crescente pessimismo nei confronti dei poteri costituiti, primi fra tutti quelli legati alla retorica politica e mediatica, capaci ormai di un racconto totalmente menzoniero eppure convincente, come accade appunto ne Il cimitero di Praga in cui si racconta la nascita dei cosiddetti Procolli dei savi di Sion, presupposti teorici falsi della purtroppo realissima Shoah.
Chiudendo il cerchio, Il fazzoletto di Desdemona ritorna al fondamento civile che ispira il lavoro del suo autore: se infatti, nella prima parte, la falsificazione diventata realtà si mostra nel tessuto sociale, attraverso alcuni romanzi, non tutti straordinari, della giovane letteratura italiana, l’ultimo capitolo ci conduce per mano dentro il labirinto rizomatico di Eco, in cui il disvelamento infinito della verità dentro la menzogna (e viceversa) costituisce l’approccio della demagogia contemporanea, raccontato in sei romanzi esemplari; uno studio, questo di Pegorari al semiologo, che è anche un invito a riconoscere la sua qualità creativa, troppo spesso liquidata come il lavoro di un intellettuale erudito in prestito alla fiction.