Raffaela Fazio ha pubblicato diversi libri di poesia. L'ultimo, L'arte di cadere (Biblioteca dei Leoni, 2015), contiene un'approfondita lettura di Paolo Ruffilli, nella quale egli rileva la forza sapienziale del suo linguaggio, che affonda le radici nel sacro ma anche nella biografia familiare. A me colpisce, fra l'altro, l'uso sintetico dell'analogia, che s'intercala con un fraseggio più disteso, attento all'efficacia delle immagini, mai banali e sempre portatrici di conoscenza. Qui un'intervista all'autrice.
Riporto con piacere una parte di una lettera privata, scritta da Raffaela dopo aver letto Ciao cari.
Ti ricordi la prima cosa che ti ho scritto prima di leggere il libro? "Chi si mette di fronte alla perdita (e dunque alla propria ontologica fragilità) dimostra già coraggio. E tu mi hai risposto: "È proprio come dici tu: la poesia chiede coraggio, a volte di scavare nel profondo, altre volte di scavare nella lingua, per farla fiorire".
Ora il libro l'ho letto e non resisto a mandarti le mie impressioni a caldo, che poi sono spesso quelle di cui ci si può più fidare.
È un libro libero, quindi fluido, nel tono, nello stile. Necessariamente. La lingua è lineare, perfino discorsiva, nelle poesie dedicate agli amici scomparsi. E non poteva essere che così: tu stai "parlando" proprio ai tuoi cari. Altrove, ti concedi salti ellittici e scatti sorprendenti, che rendono il senso meno immediato, ma anche più suggestivo (non rinunci neppure alla provocazione).
Eppure, nella sua varietà, è un libro coerente, quindi convincente, per la scelta di dire ciò che ti preme davvero. Questo forse è ciò che più mi piace: la volontà, essenziale, di fissare presenze, tenerle strette senza forzature, con un senso sottile di gratitudine o di rimpianto (in parte riconciliato). Come scrivi tu stesso, è un libro tutto di persone. Un libro che ne dice la vicinanza. E la vicinanza tra le persone, lo sappiamo, è un fatto misterioso: non si misura in tempo, in spazio e neppure nel limes tra vita e morte.
Quando ho chiuso il libro, ho ripensato al titolo. "Ciao cari". Anche nel titolo hai dimostrato coraggio. Così semplice che rischia di suonare banale. E invece dice proprio quello che doveva dire: un saluto tra chi si conosce, forse di arrivo, forse di partenza. Un saluto che comunque, anche nel commiato, rimane uno Ciao, non un addio, ma un arrivederci...