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Roberto Martinez Bachrich su Erika Reginato

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Erika Reginato, GIORNO DI SAN GIUSEPPE. Día de San José Versione bilingue. Raffaelli editore, Italia, 2016.


La grafia tremante della sua dedica ricorda l’ombra dello sguardo, contrario alla poetessa con cui, a volte, parlo. Ma è lei. Leggere il suo libro è confermare la sua logica paradossale. Le sue poesie sono tessute in quattro territori che hanno molto in comune: "Il lutto", "La malattia", "L'addio" e "L'incontro". Sorprende la voce di Erika, il suo dialogo aperto, a fronte dei fantasmi che la precedono.

Qua non c'è paura, non c'è contemplazione per assumere in famiglia le presenze sotto-terrene. L'oscuro segna il libro, però una striscia di chiarezza va tracciando il cammino. La voce di Erika Reginato, il suo modo di guardare intorno a sé, il suo modo di sentire quello che porta dentro senza paura, ha quella saggezza particolare di chi sa farsi un posto nella luce a patire dall'ombra per così salvarsi.

Vecchio topos: l'oscuro illumina, l'ombra riesce a lanciare le sue fiammate. Il padre e il nonno sono i personaggi protagonisti. Si dialoga direttamente con loro. Il filo che la unisce non è solo quello del ricordo o del sonno. La connessione e più profonda: la morte, sotto o sopra, fuori o dentro, sa mettere in ordine le parole. Il suo segno garantisce alcuni metodi della comunicazione.

La sezione iniziale del libro "Il lutto", è il primo canale di quel dialogo diretto, il dolore recente della perdita, obbliga l’essere a depennare quel dialogo. Si cerca il corpo a corpo, si rifiuta la distanza: ma da lontano / vedo la tua mano magra / avvicinala...E poi scrive: trascinami con te /fino al sepolcro...

Si sente la mancanza, si cerca di rafforzare (concludere), il non finito. L'essere si sente male per non aver potuto conoscere sufficientemente bene gli antenati. In quella voragine aspetta la parte che lo può unificare: Sotto lo spessore /nella terra /staremo insieme /Riceverai l'altra parte di me /un tesoro /Padre...

È "La malattia" la sezione più sensibile del libro di poesie. La delicatezza e la tenerezza di quando  parlava con il Padre non ci sono più. L'essere è da solo, davanti allo spessore del suo sangue, davanti alla sua propria ombra: "Comincio a toccarmi /l'inizio dell'errare /i frammenti del mio spessore..."

La sintassi perde sottigliezza, adesso è attorno al concreto, in un posto secco, già che la morte nel sangue non concede armonia: Vomito il mio vuoto /amo /imputridisco /in questa diagnosi...  Comincia il dubbio, la lotta tra la vita e la morte, il terribile suono del movimento della bilancia: Sospesa /su catene /sto in equilibrio... Ritorna la paura e se ne va via. La vicinanza delle ombre insinua una strana pace, una lucidità originale, una palpazione curiosa, cosciente del suo rischio: Con cautela osservo /le forme scure /che si fermano /sulla soglia...

Esistono metafore che uccidono, assicura Susan Sontang in alcuni dei suoi libri sulla malattia. La poeta Erika Reginato spoglia la malattia delle sue metafore non guarite e la ricostruisce dal proprio sentire, a partire della convivenza quotidiana con – la malattia - che smette d’essere, perché diventa parte di sé stesso: non è più un organo particolare è il proprio corpo ma è parte indivisibile del tutto. Assumere la malattia –assumerla, e vederla, vedersi per scrivere e descriversi, con la disposizione di sentirsi e palparsi a partire dalla parola più reale (in questo caso è la parola poetica) è in un certo modo, salvarsi. 

"L'addio" e "L'incontro" saranno variazioni dalla stessa partenza. L'essere saluta per ultima volta sua infanzia, suo padre e suo nonno. Da lontano quelle presenze abbracciano la poetessa, si avvicinano per consolarla o per aiutarla a ridere. L'essere rimane per fare le condoglianze a se stesso. L’annunzio del commiato è quasi amabile, la partenza è silenziosa, sottilmente musicale: In mezzo alla notte scopro /la fine della distanza/il passare dei giorni...

È anche un viavai dello sguardo davanti all'ombra che fa ritornare il dubbio: Potrò dormire lentamente/nel pozzo?...

Si cerca una semantica nuova, spoglia di cariche simboliche vuote, in favore di una dimensione significativa allo sguardo personale. Qua: I fiori non si muovono. Là: Non sei nel deserto /solamente ti riposi /dopo il cammino. Perché per l'essere: La tempesta non finisce //Avanza /nel mio ventre...

La lucidità assoluta arriva alla sentenza quando gli occhi si aprono davanti al mistero. Si prefigurerà così, il doloroso e desiderato incontro: Cerco nell'oscurità /le ceneri /la distanza /la fine.

La vita, la morte, la scrittura non sempre appartengono alla logica suprema: i paradossi, percettibili o no, si portano nelle vene.




Poesie da Giorno di San Giuseppe


La vita è una canzone d’amore
diceva Giuseppe.

Amore per un paesaggio,
per il sole che muove le sue ali
con lentezza.

Il tetto era il cielo,
la casa era la terra,
lui se ne andò
quando vide tra le sue mani
scorrere la nebbia.

Volle volare e si avvicinò
al rituale di morte.

Tese il collo
guardava il tetto dal balcone,
la quiete,
il fumo delle candele
da poco spente.

.-.-.

Oggi mio Padre
mi accarezza la spalla.

Mangia le zanzare
della tenuta L’Incanto,
fa il bagno nel fiume.

Dorme
sotto alberi di acacia,
trema
all’alba.

Mio padre ha sete,
getta spine di legno
dal cielo.




I fantasmi
pronunciano il mio nome.

Aprono e chiudono
le porte delle stanze,
sibilano le loro pene in corridoio.

In ginocchio
supplico Dio
per un istante di silenzio.

Abbasso la testa
con un po’ di fastidio.
In mezzo alla notte scopro
la fine della distanza,
il passare dei giorni.

I fantasmi fumano nella mia stanza.

Annunciano l’addio.


.-.-.


Le lenzuola di mio padre
non si potranno usare.

Quando si alzava la marea
dava ali alle vele.

Su la randa.
Giù la randa.

Non si fermava mai.

Ma una notte si fermò
cinque volte.

La prima
in cucina,
la seconda
vicino alla finestra,
la terza
accese la luce,
la quarta
con il petto aperto
si guardò allo specchio.

L’ultima volta
naufragò nella pena.

.-.-.-


I

La vita sfugge
dal mio fianco destro.

Ascolto le promesse
le preghiere per il ritorno
la voce della veglia
della fame.

Mi perdo
tra le mura grigie
di questa stanza.

Con cautela osservo
le forme scure
che si fermano
sulla soglia.

Comincio a toccarmi
l’inizio dell’errare
i frammenti del mio spessore.

-.-
III


Sospesa
su catene
sto in equilibrio.

Sola
in alto
lotto col freddo
sopportando le crepe.

In coma
ho sudato
la tua ubriachezza.






Erika Reginatoè nata a Caracas, nel1977, vive attualmente nel vicentino. Poetessa italo-venezuelana, saggista e traduttrice. Si è laureata in Lettere presso l’Università Centrale del Venezuela. Tra i suoi libri di poesia: Día de San José (Caracas, 1999), Campocroce, 2000-2007 (edizione bilingue, Mantova, 2008),  Campo Croce, antologia poetica 1999-2008 (Venezuela, 2008). Il saggio in spagnolo Cuatro estaciones para Ungaretti (Caracas, 2003). In Venezuela ha pubblicato sue ricerche e traduzioni, tra cui Antologia poetica di Milo De Angelis, (versione bilingue, 2007), El bar del tiempo di Davide Rondoni (versione bilingue, 2008), la selezione di poeti italiani Caminos del Agua (versione  bilingue, 18 poeti del secondo Novecento, 2008),  El trazo infinito del universo, antologia di poeti italiani contemporanei (28 poeti, versione bilingue, 2013). Con Raffaelli ha pubblicato il libro di poesie Gli Eletti (versione bilingue, 2013) vincitrice del 40º Premio Internazionale della Fondazione Culturale G. Arnone “opera straniera tradotta in italiano”. Le sue poesie si trovano nelle antologie italiane: La nuova poesia dell’America Latina (selezione del poeta Loretto Rafanelli, 2015) e Giovane poesia latinoamericana (selezione di Mario Meléndez, Raffaelli editore 2015).



Roberto Martínez Bachrich (Valencia, 1977). Es profesor del Departamento de Literatura Latinoamericana de la Escuela de Letras de la Universidad Central de Venezuela. Magister en Técnicas de la Narración por la Scuola Holden (Turín), Magister en Estudios Literarios en la UCV. Ha publicado los libros Desencuentros (1998), Vulgar (2000), Las noches de cobalto (2002), Las guerras íntimas (2011), Tiempo hendido (2012), La voz delanimal (2013). En 2010 recibió el X Premio Anual Transgenérico de la Fundación para la Cultura Urbana.



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