Le pagine del libricino "Tre fili d’attesa" di Maria Pina Ciancio, condensano le riflessioni maturate in anni di osservazione lenta, attenta a costruire un percorso intimo e personale, volutamente decantato nel tempo dalla poetessa.
Tutto è fermo, freddo, come di pietra, e non c’è nulla da vendere, nulla da comprare, non ci sono traffici né merci… Solo tre fili d’attesa (a bona sciorta/ nu’ lavoro ca cunta/ u capattiempo che vene sempre chiù luntano) e “dopo la guerra dell’inverno (…) anelli di fumo irregolare” e scorci di paese e personaggi reali - amati profondamente nell’animo - e intorno la dura terra lucana dove ha valore essere più che avere.
Spiccano tra i muri sbrecciati di paese, le tante immagini dei vecchi dalla schiena stanca appoggiata al muro delle case, le ringhiere scorticate, i gerani smarriti al grande cielo e i cani a tre zampe o impazziti-quasi animali mitici, e gli attori paesani un po' strambi, come zio Pietro (con il legno del bastone sotto il mento) che per strapparla allo scherno pittò “la casa di rosso, di lato, di sopra, di sotto” e che si fanno amare per la loro diversità, innata semplicità e riottosità al giudizio comune.
'Attesa' sembra essere la parola chiave del libro, cardine intorno al quale ruota la vita del paese lucano, terra ancora primitiva, ferma a riti arcaici, che si forgia nel dipanarsi delle storie minime e tragiche della sua gente. L’attesa sembra essere ora l’unico atto rivoluzionario nel mondo frenetico di oggi. Dove appunto l’attesa, e la riflessione che richiede lo scorrere lento del tempo, sono bandite.
Con l’attesa anche il silenzio è elemento presente nel libro. L’assenza di rumore ("non fanno rumore i paesi d’inverno") nei lunghi ovattati inverni lucani viene rotta solo dai "rutti" delle feste comandate. Forse a ricordarci la presenza insignificante, rozza e primitiva dell’essere furente che è l’uomo nella Natura.
Ma anche qui, in questo embrione materno che è il villaggio dove si cerca rifugio e conforto, “ci sono notti difficili da dormire…” come per tutti gli uomini sulla terra, come anche per gli animali. Anche qui in questo luogo irreale che conserva un senso arcadico della vita, l’uomo è in bilico e la speranza si aggrappa al fato: “a la bona sciorta” e cede alle pressioni familiari, sociali: perché “nu’ lavoro che cunta” è importante. Mi sembra che ci sia il sapore di un sottile senso di colpa in questo verso, forse irrisolto, che viene da secoli di arretratezza e da una non soddisfatta volontà di riscatto della gente del Sud. Chi decise che per contare bisognava emigrare?
La nostra si fa testimone silenziosa dei contrasti inconciliabili tra generazioni troppo diverse che non si incontrano più e epoche oramai distanti trovano voce nel verso: “padre e figlio si incontrano a cena/ intorno al tavolino/uno mastica lento, l’altro va di fretta/ per non inciampare in quel tempo dilatato/ e fermo degli occhi di sua padre…”
Ma l’ispirazione parte tutta dal camminare per dare origine alla parola poetica e intuire la realtà. La Ciancio sa bene che “Talvolta basta uscire per strada/ per riannodare gli orli/ sfilacciati di un pensiero”. Camminare, un atto anche questo oggi sovversivo, è raccontare sé stessi agli altri. E la nostra, con i suoi versi e le sue foto (che andrebbero valorizzate!) sembra conoscere molto bene il segreto del camminare, scrivere e fotografare. E magari leggere, per ispirarsi, Pavese, primo paesologo italiano (ancor prima di Franco Arminio). Uno del Nord.
E allora Tre Fili d’attesa è un libriccino dalle leggere pennellate di versi da tempo attesi, ispirati e dedicati dalla Ciancio alla sua regione, la Lucania, terra appenninica ma anche mediterranea calata tra duri calanchi e costa greca. Una regione dell’anima fatta di paesi che esistono e re-sistono, fuori dalle rotte turistiche… fuori dalle dinamiche della globalizzazione. La Lucania che compone questa nostra Italia antica e variegata e che custodisce ancora, come un’isola, inconsapevolmente, i tasselli del DNA nostro e l’animo della poetessa stessa.
A corredo dell’opera, una stampa dell’artista Stefania Lubatti, ricorda un muro sbrecciato di San Severino Lucano, a voler muovere in noi irrisolte risonanze d’infanzia.
William Stabile
Maria Pina Ciancio, Tre fili d’attesa, con una stampa di Stefania Lubatti, prefazione di Anna Maria Curci, postfazione di Abele Longo, LucaniArt 2022
*
Siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno
le guance rosse e gli occhi aperti al cielo
oltraggiati dalla pioggia
schermaglie di bambini
senza un grido
Ho un cielo d’inverno da inseguire
risvegli e riverberi di resine
memorie di partenze e di ritorni
benigne solitudini
Sulla via che ci incontra
il vento sale e a te mi riconduce
*
Talvolta basta uscire per strada
per riannodare gli orli
sfilacciati di un pensiero
Dopo la guerra dell’inverno
c’è chi parte e c’è chi resta
(…)
Gennaro e Vincenzino
sillabano il tempo
in anelli di fumo irregolare
e aspettano i ritorni
tra la ringhiera scorticata
e i gerani smarriti al grande cielo
*
C’è un tempo irreale qui
che comincia con la neve
e finisce a quaremma
con la strada che si asciuga
e i cani impazziti che rincorrono
il pallone di Antonella
*
Abbiamo tre fili d’attesa
annodati al calendario del camino
: a bona sciorta
nu’ lavoro ca cunta
u capattiempo ca vene sempre chiù luntano
*
Siamo nidi sfilacciati
Siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno
le guance rosse e gli occhi aperti al cielo
oltraggiati dalla pioggia
schermaglie di bambini
senza un grido
Ho un cielo d’inverno da inseguire
risvegli e riverberi di resine
memorie di partenze e di ritorni
benigne solitudini
Sulla via che ci incontra
il vento sale e a te mi riconduce
Maria Pina Ciancio di origine lucana è nata in Svizzera nel 1965. Trascorre la sua infanzia tra la Svizzera e il Sud dell’Italia e da qualche anno vive nella zona dei Castelli Romani.
Viaggia fin da quand’era giovanissima alla scoperta dei luoghi interiori e dell’appartenenza, quelli solitamente trascurati dai grandi flussi turistici di massa, in un percorso di riappropriazione della propria identità e delle proprie radici.
Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia, alla narrativa, alla saggistica. Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo Il gatto e la falena (Premio Parola di Donna, 2003), La ragazza con la valigia (Ed. LietoColle, 2008), Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro (Fara Editore 2009), Assolo per mia madre (Edizioni L’Arca Felice, 2014), Tre fili d’attesa (Associazione Culturale LucaniArt 2022).
Nel 2012 ha curato il volume antologico Scrittori & Scritture – Viaggio dentro i paesaggi interiori di 26 scrittori italiani.
Suoi scritti e interventi critici sono ospitati in cataloghi, antologie e riviste di settore. Recentemente è stata inserita nelle collettive: Orchestra (a cura di Guido Oldani) LietoColle 2010; Il rumore delle parole – 28 poeti del Sud (a cura di Giorgio Linguaglossa), Edizioni EdiLet 2015, Sud – Viaggio nella poesia delle donne (a cura di Bonifacio Vincenzi) Edizioni Macabor 2017.
Con il libro “Storie Minime e una poesia per Rocco Scotellaro” nel 2015 ha vinto la X Edizione del Premio Letterario “Gaetano Cingari”; nel 2014 il Premio Internazionale della Migrazione – Attraverso L’Italia e il Premio Letterario Città di Cerchiara – Perla dello Jonio (con un testo tratto dalla raccolta); nel 2009 il Premio “Tremestieri Etneo” (Targa Antonio Corsaro).
Ha fatto parte di diverse giurie letterarie, è presente in numerosi cataloghi e riviste di settore.
È presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt e su internet cura lo spazio web lucaniart.wordpress.com