Posto le prime due pagine deLe vie del ritorno, come assaggio...
1.1 Il sacrificio totemico e l’iniziazione efebica
Giuseppe Fornari, nell’introduzione a una miscellanea in onore di René Girard, ci ricorda che arrheton, l’indicibile, è il termine con il quale i Greci alludevano all’atto di fondazione della comunità umana, l’avvio osceno di ogni convivenza pacifica, che trovava la sua forma estrema nel banchetto sacrificale delle società arcaiche.1 Il dilaniamento mitico e, nelle tragedie, il sacrificio della prole da parte dei capi clan (si pensi all’esposizione di Edipo), diventano in questo senso l’unica possibilità che ha la polis per dare una forma simbolica a quell’infanzia della specie, omicida e talvolta antropofagica, cui altrimenti non saprebbe reggere lo sguardo.
Se davvero tutta la cultura precedente al Cristianesimo fu densamente coinvolta in questo rito ancestrale – sopravvissuto nella sua forma antropofagica nello stesso rituale eucaristico, come sospetta Sigmund Freud in Totem e tabù– non credo sia fuorviante partire da esso per indagare il tema della caducità nell’Orestea,2anche sulla scorta di quanto rilevò il filologo inglese George Thomson verso la fine degli anni Quaranta, ossia che l’ascendenza sacrificale del genere tragico va ricondotta al vivo giogo tribale del totemismo, dominato dalla forza salvifica che il clan riceve grazie ai rituali officiati dal re, maschio dominante.3 E quando, come nell’Orestea, manca il maschio – giacché Egisto, nelle parole sprezzanti di Oreste, “ha cuor di femmina” (Coefore, v. 305) – è Clitemestra a farne le veci, sacrificando Agamennone e Cassandra, che costituiscono, sotto questo profilo, una minaccia venuta da fuori rispetto all’ordine oramai ristabilito e di cui lei si sente somma custode. La regina è femmina particolare anche per Eschilo giacché, sin dapprincipio, le attribuisce una “volontà d’uomo" (Agamennone, v. 11), "una personalità maschile" (ivi, v. 363) anche se talvolta ironicamente negata (ivi, v. 361 e v. 1881; Coefore, vv. 668-9); essa, inoltre, “manca di quel pudore che si addice al suo sesso" (Ag., vv. 618-19, 847, 1372, Coefore, vv. 627-28), pur mantenendo un “fascino femminile […] irresistibile" (Agamennone, vv. 932-4).4
Per comprendere la ragione di tale natura, mascolina e seducente insieme, impietosa davanti al cadavere del marito e maternamente tenera nel ricordare la propria figlia immolata, occorre anzitutto riconosce che l’intero agire di Clitemestra è segnato certamente da molti stati d’animo, ma da un’unica virtù, la stessa che contraddistingue Agamennone guerriero e, più tardi, Oreste matricida: l’astuzia. Come infatti Agamennone conquista Troia con l’inganno e Oreste astutamente si traveste da “straniero” per assassinare la madre, così Clitemestra circuisce il pubblico, il corifeo e l’araldo fingendo una calorosa accoglienza al re di Argo: “Devo affrettarmi ad accogliere nel modo migliore il venerabile mio sposo che torna. Per la moglie quale luce è più soave a vedersi che questa, quando al marito, che un dio ha salvato dalla spedizione, apre le porte?” (Agamennone, vv. 600-4). E poco dopo, rivolgendosi al coro e ad Agamennone, appena approdato: “O cittadini qui presenti, venerandi fra gli Argivi, io non avrò ritegno di esprimere dinanzi a voi i miei sentimenti d’amore per lo sposo” (ivi, vv. 855-57).
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1 Giuseppe Fornari, Introduzione (e trad.) a René Girard, La vittima e la folla. Violenza del mito e cristianesimo, Editrice Santi Quaranta, Treviso 1998, p. 20. In effetti, il banchetto sacrificale lo riconosciamo già nella Teogonia di Esiodo, là dove egli, recuperando “miti antichissimi provenienti dall’Oriente” (Bruno Snell, La cultura greca, Einaudi, Torino 1981, p. 79), racconta del modo in cui Urano respingeva nel ventre di Gaia i propri figli, e di Crono, il quale se ne cibava per timore che essi lo spodestassero. Ma al di là dell’omofagia, cui rimanda il mito di Dioniso fanciullo divorato dai Titani, e dello squartamento, rintracciabile nello stesso mito, ma anche in quello egiziano di Osiride, nella leggenda tracia di Orfeo, fino al sacrificio di Penteo, ricordato da Euripide nelle Baccanti, in Asia Minore già esisteva una tradizione in cui il sacrificio dei primogeniti a Moloch o Chemosh aveva valore fondante: si pensi alle culture semitiche occidentali, in particolare a quella dei cananei (cfr. Antico Testamento, in part. I Re XI 7; II Re III 26-27; XVI 3; XXIII 10; Levitico XVIII 21; XX 2 e sgg; Esodo XXII 28-29). D’altro canto, la Beozia non soltanto venne in contatto con queste culture già nel XI sec. a. C., grazie ad alcuni viaggiatori cadmei, che si stabilirono nella terra di Esiodo in seguito a un lungo soggiorno in Palestina, ma praticò essa stessa i sacrifici dei figli, come ricorda la leggenda di Atamante, già nota al tempo di Eschilo (cfr. James George Frazer, Il ramo d’oro, Boringhieri, Torino 1973, vol. I). Da ultimi, non si possono dimenticare sia i fanciulli ateniesi destinati dalla leggenda a soddisfare la fame del minotauro cretese e sia, sempre in Atene, la tradizione di usare, quali capri espiatori nell’annuale “festa delle Targelie”, due schiavi, lapidandoli “fuori dalle mura” (J. G. Frazer, op. cit., vol. II, p. 893).
2 Userò la traduzione di Raffaele Cantarella (a cura di), Tragici greci. Eschilo, Sofocle, Euripide, Mondadori, Milano 1992. A consolidare l’ipotesi d’avvio, contribuisce l’evidenza che, nello stesso albero genealogico di Agamennone, troviamo costantemente il sacrificio di infanti da parte di maschi adulti strettamente imparentati con le vittime. Si pensi a Tantalo, che offrì agli dei il figlio Pelope, per mettere alla prova la loro onniscienza; e ad Atreo, figlio di Pelope (resuscitato per volontà divina), il quale, per vendicarsi del fratello Tieste, gli servì i suoi figli come vivande; e ricordiamo altresì quanto fece quest’ultimo per lavare l’onta: obbedendo all’oracolo, violentò la propria figlia, convinto che il nascituro avrebbe in seguito ucciso Atreo. La figlia invece, scoperto l’incesto, si suicidò. E non si dimentichi, infine, Agamennone, figlio di Atreo e di Aerope (amante di Tieste), il quale sacrificò la propria figlia Ifigenia, avuta con Clitemestra, per ottenere il favore del vento alle navi guerriere dirette a Troia.
3 George Thomson, Eschilo e Atene, trad. it. Laura Fuà, Einaudi, Torino 1949, parti I e III.
4Ivi, p. 349.