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Luisa Pianzola, Inediti

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In questiinediti di Luisa Pianzola sento l'abbraccio alla calda vita, per quanto lacerata dai bloody Sundays, e una scrittura che cerca la comunicazione sciolta dagli intoppi retorici, ma non troppo: l’enjambement tra secondo e terzo verso della prima poesia, “gaia / fratellanza”, ci riporta subito negli snodi cari al montale degli Ossi e aa molti altri poeti del secondo Novecento, che disarticolano i sintagma nome-aggettivo per meglio essere fedeli ai rumori e alle crepe di fondo del secolo.
La tradizione come fratellanza, forse, la relazione con il tempo della parola già data quale imprescindibile pane su cui fondare la possibilità di una lingua piena d’umori terrestri. Una lingua capace di trattenere fra le sue maglie anche il “nulla / che si protende poco oltre la spiaggia”, consapevole che altro non c’è, se non il “chiarore infinito” e irraggiungibile, la suggestione vaga e indeterminata del non-ancora, ma priva dell’assoluto leopardiano e di certo compiacimento sentimentale. Certo l’ingenuità non pertiene a questo canto, il quale semmai, con vigor rude, si muove tra saggezza e amara constatazione che tutto è consegnato alla morte. Verità che si sopporta recuperando un fanciullino vagamente pascoliano, una leggerezza che sa di memoria e orco e benedizione. Versi maturi, dunque, questi di Luisa Pianzola, lavorati a lungo, prima dalla vita e poi dal mestiere, che non prende mai la mano, bensì retrocede un attimo prima di diventare artificio, fa un passo indietro affinché ci sia spazio anche per noi, che siano nella stessa zattera, tra luce e tenebre, e senza patria. La chiave di lettura è perciò esistenziale, piccolo testamento di “quella che non crolla” e che riparte dopo una manutenzione ordinariadel sistema, probabilmente lunga e dolorosa.



Manutenzione ordinaria (Inediti 2015)



*

Bella vita che passi
dal mormorio infantile alla gaia
fratellanza agli scontri quasi adulti
bella vita di pane
e menta, di suoni e significati chiari
bella domenica
pure la bloody sunday che spaccava
e il sudore e l’energia buona
delle gare campestri

ti ho ritrovata, cara vita
e non ti cerco, ma ti somiglio.




*

Il tempo è un servo silenzioso
che consegna la comanda con lentezza
ma al punto di arrivare svolta all’improvviso
e tu non sai più di che ti piaceva saziarti
allora rifai l’ordinazione, ma il sapore è cieco
il ricordo non soddisfa
pronunci scandendo a chi non sente
con leggerezza arrivi a sperare che l’ora del pasto
passi in fretta.




*

Venite giù con me
alleniamoci insieme a questo nulla
che si protende poco oltre la spiaggia,
se vogliamo trovargli un luogo
oppure nell’androne di casa mia,
il tuo ritiro amichevole.
È tutto ciò che abbiamo nell’età piccina
delle risorse serali, dei fantasmi
di piccolo cabotaggio.
Da qui ci assale un chiarore infinito.




*

Perdere il contatto a poco a poco
simulare un dolore ma nell’ombra
chiedersi allora perché
e se c’è da scrivere anche poco
anche dopo letture immani, saperla intatta
la parola, la panacea diurna.

Registro questa fine e ciò che va detto
qualcosa di anodino e informe
una lecita preghiera al contrario
onda ancora senza nome che rischia il crollo
a magnitudine zero.




*

Resto quella che non crolla
ma nemmeno sale passo passo
resta un nome non mio
da urlare a mezza altezza, a medio termine
l’unica è attenersi alla regola
del bar sotto casa la cui magìa consiste
nel liberarti invisibile dalle scarpe di cemento
che prontamente indossi ogni mattina.




*

Sapremo accogliere nella morte
anche Raffaella, che se n’è andata
con le sue sciocchezze
la accoglieremo nel tribunale dei piccoli
e dei graziosi, dopo una lieve istruttoria
la terremo ancora un po’ con noi
a non capire, a scaldarsi al fuoco
a non tremare per un nonnulla.




*

Il racconto si espande oltre i confini
del monitor e un paesaggio rupestre,
un’istantanea marina, un sogno offuscato
di prime albe ti sfiorano ti svegliano
e riaddormentano, srotolando
un bandolo di esordi sconosciuti.

Terreno viaggio mio, eccoti all’erta
affamato di partenze anche false.




*
Certe sere sento la libertà molto forte
si capisce dal suono quasi nullo
degli orologi e del traffico in sottofondo
che si azzera.
Le braccia temono una sparizione
ma in quel momento di libertà assoluta
credo cieca la traiettoria del proiettile
che pure qualcuno ha in serbo per me
e le cedo volentieri il passo.




Luisa Pianzola (Tortona 1960) è poeta e giornalista, laureata in storia dell’arte contemporanea. Libri di poesia: Una specie di abisso portatile (in uscita per La Vita Felice), Il ragazzo donna, La Vita Felice 2012, nella classifica di qualità di Pordenonelegge 2012; Salva la notte, La Vita Felice 2010, selezionato da Dedalus-Pordenonelegge tra i libri di poesia italiani 2001-2011; La scena era questa, LietoColle 2006; Corpo di G., LietoColle 2003; Sul Caramba, Sapiens 1992. Plaquettes: In un paese straniero a volte ospitale, Fiori di Torchio 2013; Miniserie, Da>verso_coincidenze, 2013. Cocuratrice de Il Segreto delle Fragole 2006, LietoColle, suoi testi sono usciti su riviste, siti online e in varie antologie. Alcune sezioni di Salva la notte sono state tradotte in inglese da Anthony Robbins per “Conversation Poetry Quarterly”, 2012, e in francese da Angèle Paoli. Ha collaborato con la rivista letteraria “La Mosca di Milano” e cura per LietoColle la collana Serre di Poesia. Sito internet www.luisapianzola.it.



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