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Villa Dominica Balbinot

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Sospeso tra l’inferno vero e la compiuta fine del mondo terrestre, l’io drammatico di Quel luogo delle sabbie (autoprodotto, 2015) ci conduce nell’esperienza mistica della crocifissione, dove caduta, sfacelo e contagio, carezzando l’aria con il loro terrore bluastro, gli danno piacere. A ragione, Augusto Benemeglio (Liberolibro.it, 22/12/14) scrive che Villa Dominica Balbinotè una poetessa “che reca in sé le stimmate da primo romanticismo germanico, della tenebrosità, il senso dell’orrido e della funerea desolazione, ma anche quello decadente di Baudelaire, sempre sospeso tra la benedizione celeste e quella diabolica”. Sembra infatti uscito da una teca ottocentesca questo libro densissimo e inquietante, votato forse all’incomprensione contemporanea, quanto più la scrittura di oggi cerca la dimensione orizzontale del dialogo con le creature terrestri, con la loro faticosa eppure mediocre esistenza. 

La Balbinot, che non dice nulla di sé in fase paratestuale, nella scrittura riversa invece tutto il sangue della propria immaginazione sepolcrale, si scioglie interamente nei versi, nell’atteggiamento fortemente erotico, che la mistica, appunto, ci ha insegnato. A differenza tuttavia di molte poetesse novecentesche del medesimo filone, nelle quali l’arte della parola tende a piegare il desiderio di santità, rendendolo commestibile, qui non c’è alcuna intenzione strategicamente seduttiva nei confronti del lettore, che assiste alla rivelazione della carneficina, “de l’organico disfarsi”, con somma impotenza e un disagio assolutamente inattuale. Il rischio di questa poetica è quello di quando qualcuno ti addita l’assolutamente altro: si fa un passo indietro, a meno di non essere iniziati, riconoscendo in quel luogo la via. Più diabolica che angelica, più mortifera che salvifica.

A che cosa serve allora, in questa prospettiva, la poesia? A cogliere con scrupolo tutte le sfumature dei miasmi, le gradazioni più sottili dell’ombra, forse nella convinzione che sia importante, prima di tutto, far vedere quel mondo, descriverlo con minuzia, riconoscerlo, anche senza accettarlo per forza. Si spiegano così le frequenze aggettivali in cui i nomi sono immersi (“vocazione nuda”, “suono esile e triste”, “salmodia opaca”, “angelo pallido”, “caduta lunga”, solo per citare la seconda poesia, ma anche, spulciando a caso, “omiletiche interpretazioni esatte”, “flussioni purpuree”, “muti sarcolemmi”). In generale, arcaismi, latinismi, corsivi, tecnicismi, arricchiscono cinquanta testi lussureggianti di bassezze infernali, che non mi dispiacciono nella misura in cui non sono una mera ripetizione del già letto e non hanno l’apparenza epigonale, ma sembrano nascere in un’anima davvero trafelata per aver perduto il proprio mondo originario che quasi tutti chiamerebbero diabolico. O distopico, a volerlo collocare sulla terra.

Quel luogo delle sabbieè in definitiva una reliquia vivente, un fiore del male a cui è stata tolta la spina della storia, cresciuto nelle rovine della città celeste, dove statue e archi e ponti di ferro scandiscono, freddi, uno spazio siderale, blu notte come la sua copertina.


LE PARLO′ COME A UN ADOMBRATO ANIMALE

[ :.. Qualsiasi piramidale perfezione è bruciata
dal pulsare del sangue,
dall’allarme rosso della rovina…]
Sempre traboccando
tocca la sua suprema autolacerazione:
nella compilazione  delle meditazioni
-su tutte quelle lettere ingiallite –
lei pallida per insufficienza
nell’indescrivibile grigio che tutto contiene
( al di qua dell’esperienza delle grandi fredde gioie,
di quelle fissazioni selvagge.)
Era ancora da fare,
l’esperimento della intera verità
nelle trionfanti gelide strutture  architettoniche
– nei pertugi tutti:
Ma nulla era stato codificato nella sacra lingua,
il redentore non scrisse mai nulla,
di ritorno dalla carneficina
( Le  parlò come a un animale adombrato,
nella fredda nudità delle pareti bianche:
a lei era parso di udire le voci basse dei cospiratori…)


PRIMA DI TUTTO SOPRAGGIUNSE LA RUINA

Prima di tutto sopraggiunse la ruina
– con un rumore duro e cavo:
la tormentosa agonia
di chi si misura contro gli dei,
la verità celata- e solo imperfetta…
Iniziò a precipitare da quel giorno
(l’episodio inaudito, la Consummazione )
come se osasse vivere  solamente in mezzo ai morti
ai dimissionari, a uomini spenti, destituiti.
Volle correre verso quell’orizzonte in fiamme,
e con il linguaggio dell’oscurità degli addii,
dei proibiti distretti.
E si nutrì anche di morte,
perché tutti morirono:
oh, avesse mai potuto amare,
il gelo magnifico e crudele
quelle funeree allucinazioni
( della nostra  recisa testa),
anche quel futuro- e l’avversione,
quella scabra scorza.
( Da qualche parte uccidevano
cerimoniosamente:
ma magnifici eravamo noi, e calmi,
nel deturpamento grande)


IN QUESTE SPORADICHE SILENTI RADURE

…””Essi  dunque
raccoglievano le parole della agonia,
le parole spremute,
ma anche nel confortatorio
–  fin sul patibolo –
prevaleva  l’insensatezza delle cose"…
….In queste sporadiche silenti radure
(nelle lande fiorite del sangue,)
voi ci avete già abituati,
al principio della segregazione,
a sofferire di una forma di ostinazione spirituale:
come se poi si avesse ricevuto una ferita
– In questi alti cieli pallidi…sulla calcinata terra —
una speciale esecrazione,
la dovuta incandescenza dai colpi del male
Ma duri sono,
i tendini delle ossa,
e erano sanguigne, le stimmate dei chiodi,
e le occhiaie del morente
sempre si riempiono di ombre:
oh quale  !
quale lassitudine senza nome.!


QUEL LUOGO DELLE SABBIE

In un desiderio eterno
- in un dolore eterno -
essi tutti scorticati
rosi erano a metà,
dalle rivelazioni,
della dispietata dottrina.
E guardavano,
guardavano in un modo continuo e intollerabile
( nell’atteggiamento della prosternazione)
quel luogo delle sabbie – e della paura:
il cielo era di altezza smisurata,
vi era una lebbra pallida
–  e con una vaga idea di immolazione…


TRA TUTTI QUEI GRIGI – PURI E BRUTALI

…”E,
– protetta dallo splendore improvviso
di un tramonto prolungato e agonizzante-
lei rimase stranamente fredda,
tra tutti quei grigi
puri e brutali
Gli alberi di fronte alla sua finestra
le parvero coperti di fiori selvaggi e spampanati
nello splendore rosa piombo
de l’organico disfarsi,
nel bagliore nudo
della luce obliqua.
Di sabbia nera erano i laghi,
e mercurio erano le acque,
qualcosa di
primitivo, crudele - e poco devoto -
era ovunque:
il mondo si manifestava dunque nel crimine,
negli incubi immobili,
in quella emorragia terribile
( la carne spiccava come
una intrusione imprevista
)
– e fra predatori apicali…
Chi allora avrebbe dovuto poi
pronunciare le omiletiche interpretazioni esatte,
la prima eulogia?
Qualcuno forse dei portatori della peste
– del calvario?
( E fra quanto tempo
sarà allora sferrato il prossimo attacco,
– e ne l’allargato abisso?…)

Dominica Babinot: maturità classica e Corso di studi universitari in lettere (non conclusi purtroppo a pochi esami dalla laurea).
Si è interessata ben presto di letteratura, poesia e pittura e queste sono divenute in breve le sue passioni predominanti. Nel proseguo del tempo - ma non attraverso scuole bensì studiando e verificando da assoluta autodidatta-ha poi cercato  di migliorare queste attitudini con assidui esercizi di praticantato personale correndo il rischio di dispersione e ritardi di vario tipo.
Ha  incominciato a scrivere con costanza- e senza mai deflettere da allora- solo dopo il 2006 e cimentandosi inizialmente sui gruppi di scrittura presenti sul web (it.arti.poesia, it.arti.scrivere) e subito dopo creando i propri  blog personali, uno di poesia (inconcretifurori.wordpress.com)il secondo di prosa e racconti (dell’idrairacconti), cercando poi di raccogliere il complesso delle proprie produzioni in quello che mano mano dovrà essere sempre più il  blog cumulativoHttps://villadominicabalbinot.wordpress.com
Sin dal suo primo numero - e fino alla sua chiusura - ha collaborato al lit-blog viadelledonne.wordpress.com.
E' da considerarsi inedita su carta, potendo contare unicamente sulla raccolta Febbre lessicale (autoedita attraverso sito ilmiolibro.kataweb.it.)
I testi qui raccolti sono stati raggruppati nel secondo libro auto edito "Quel luogo delle sabbie" (scelti tra i più recenti in ordine cronologico).
Proprio per le modalità stesse che hanno dato sviluppo sue diverse attività espressive Villa Dominica Balbinot non può burocraticamente e "ufficialmente" presentare alcun tipo di curricula, ciò nonostante i suoi lettori (che purtuttavia esistono) non è detto che - quando saranno conclusi i suoi lavori nei vari campi letterari – non possano prima o poi sapere tutto di lei, sperabilmente tra non moltissimo! Per ora si dovranno "accontentare” dei suoi  testi; Villa Dominica Balbinot concorda infatti con Proust per due sue essenziali affermazioni :
1)PROUST contro SAINTE BEUVE «Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi»
2) sempre di Proust"«La vera vita, la vita finalmente riscoperta e illuminata, la sola vita dunque, pienamente vissuta, è la letteratura »


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