Riporto la mia nota introduttiva a questa opera prima di Sebastiana Savoca.
Senza grammatica(transeuropa 2019), pur essendo un’opera prima, già presenta risolti alcuni dei punti deboli tipici degli esordienti: il sentimentalismo, la propensione intimistica, l’esasperata coincidenza fra verso e sintagma, le immagini stereotipate, il ritmo monotono. A parlare, in questo libro, è invece un io collettivo, ma non omologato (“ho preso in prestito voci /scritte di donne, di uomini / inesistenti”, il quale, pur rinunciando a cantare, ad essere lirico, rivendica il proprio diritto d’esistenza e di resistenza all’annullamento per opera di un mondo, il nostro, che vuole identità passive, immobili alla vita, segnate da solitudine, frustrazione e violenza, un mondo senza regole, sgrammaticato, appunto, che disorienta il soggetto e lo mette in crisi.
La prima sezione, “Il suono della neve”, indaga la difficoltà del dialogo amoroso, della comunicazione privata, dovuta al venir meno di un codice amoroso consolidato, della sua grammatica. Questo, tuttavia, non comporta una resa degli amanti al caso, alla contingenza, bensì alimenta in loro la reciproca accoglienza, una perseveranza di quieta tenerezza e d’incondizionato amore. Soltanto così, sembra suggerirci l’autrice, gli esseri umani possono rifondarsi nella relazione, uscendo da una solitudine non soltanto storica, dovuta alla condizione snaturante dell’Homo technologicus, ma anche sociale che è immediatamente ontologica, nella misura in cui il tardo capitalismo ha ridotto la vita a gioco in-fondato, di superficie, a scivolamento da un ruolo all’altro, privo di etica e teleologia, finalizzato alla sopravvivenza del sistema stesso, in cui il dolore e la felicità sono funzionali all’avere, al consumo.
Nella seconda parte, “Solo punteggiatura”, la dimensione drammatica dell’essere-in-comune emerge con più chiarezza, attraverso l’allegoria dell’annegamento e della deriva dei corpi senza più bussola e orizzonte condivisibile. La difficoltà del dialogo non appartiene dunque solamente alla dimensione privata (gli amanti), ma è una malattia esistenziale, che porta ciascuno, come recita l’incipit della prima parte, ad “attendere invano il nulla” e a negare il passato, in nome di un eterno presente senza fondamenti. A questa morte-in-vita, non esiste antidoto se non amando “anche per chi amare non può più”.
Questa condizione di spaesamento e di ricerca di un centro che dia senso al vivere è un discorso, lo sappiamo, particolarmente caro ai moderni, ma non per questo la poesia contemporanea può ignorarlo; se lo facesse, suonerebbe inautentica, superficiale. Sebastiana Savoca ci invita a non passare oltre, a rimanere in questa sacca di degrado, per svelarla e trovarne i semi di un nuovo inizio, che qui ha la forma del non-ancora: “tra i fornelli e il focolare, sogni / - nel mezzo tavoli, abete regali - / una casa nel giorno di Natale”. Calore e accoglienza, dunque, che questo libro continua ad evocare, anche raccontandone l’assenza. È questo un modo per scrivere poesia civile che eviti la facile denuncia, l’afflato moralistico, è una pronuncia laica e antieroica, ma non per questo meno capace di dire il vero sulla condizione odierna degli esseri umani.
Sotto il profilo stilistico, Savoca predilige la paratassi, che spezza talvolta con l’enjambement, usa una punteggiatura nervosa e metafore dominate dalla precarietà e/o dalla drammaticità (due esempi: “i fumi freddi s’assopiscono / nei miei polmoni” e “siamo un pugno di chiodi avanzati / fissati a una parete”), ottenendo con ciò un campo di tensioni retoriche assai efficace a rappresentare l’inquietudine sociale contemporanea. Inquietudine, ci racconta Senza grammatica, a cui far fronte con un’esistenza consapevole, che pensi alla morte quale condizione di ogni possibile esperienza umana: messaggio che si legge già nella clausola della seconda poesia, quando la rinascita donata dalle “primavere” e la quasimodiana solitudine dell’uomo nel “cuor della terra”, preludio della morte, si uniscono nel più aulico dei metri, l’endecasillabo, qui declinato a minore, quasi a sottolineare, della vita, la tonalità notturna che attraversa l’intero libro.
Sebastiana Savoca, Senza grammatica (Transeuropa, 2019)
Senza grammatica
chi ti ama
senza domanda dubbio dilemma
ama
l’ortografia delle tue labbra
*
«Questo Suo mondo è tutto un io
d’ansia… Non può dare risposta a questa
Sua domanda. Ora chiuda la finestra.
̶ conoscevo gli infissi, i loro scatti
anacronistica scienza dell’io
Non si può mettere ordine
nel vuoto di una stanza»
*
Ad una vedova con figli
Accogliere un defunto
(in una collanina
legata attorno al collo)
sfregia lo spazio che muore nel petto.
Non c’è lamento che salvi lamento.
Perdi tutti i respiri che rimangono
per annegare nella tua esistenza.
La tua salvezza non ha àncore in questo
mare, né remi per remare. Amare
anche per chi amare non può più
ti condanna alla vita,
al sapore aspro della limonata.
*
Una cometa in un cielo di nubi,
inattesa, attraversa i tuoi occhi verdi;
ancora forse non vedi il rumore
dei segni, né ne riconosci il tratto.
Accarezzi il tuo gatto, in questa notte
di ripetuti silenzi e altri vuoti,
e, tra i fornelli e il focolare, sogni
– nel mezzo tavoli, abete e regali –
una casa nel giorno di Natale.
*
Torna il solstizio
e la faccia della gente
torna per rammentarsi di esistere (negli altri)
torna a tornanti, a ondate
in montagna e nel mare
per chi vuole volare e chi annegare
l’importante è restare
quando qualcuno ti adocchia
«Che senso ha ballare nel tempo libero di un pittore?»
Spieghi le parole con le parole
come se potessi spiegare con la tua vita la vita