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Alessandro Assiri

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L'inquietudine che si agita nel libro di Alessandro AssiriIn tempi ormai vicini (CFR, 2013) si sente già nel titolo, che fa da porta a pagine dove si attraversano gli ultimi quarant'anni d'Italia, a partire dalla strage di piazza Fontana. Quei tempi, ci dice allarmato l'autore, non sono lontani, come il detto suggerisce, bensì prossimi venturi. O forse non sono mai finiti, costituendo una sorta di spada di Damocle sovrastorica, che incombe in ogni democrazia, ma soprattutto nella nostra. E' appunto questo, mi pare, il tema forte del libro: raccontare per sommi capi il passaggio italiano dalla lotta all'omologazione, adottando il punto di vista di una generazione, prima in conflitto con il sistema e poi omologata, "ovvero dalle file di aut.op al selciato delle coop" come recita l'incipit di vamos a la plaza, l'ultimo atto di questo libro feroce.
Anche qui, il calembur del titolo unisce la lotta di piazza alle canzoncine da playa, dai pugni chiusi di autonomia operaia (ma anche di Ricky Ganco e di Demetrio Stratos) alle manine agitate del pubblico che in bermuda va in piazza ai concerti estivi, ad ascoltare, mettiamo caso, i Righeira. Una delle ultime liriche del capitolo ribadisce il concetto: "adesso [...] se senti due urli / o è un ubriaco o una festa di laurea" (verità sacrosanta se non teniamo conto degli Indignados, dei No al Dal Molin, dei No Tav; ma, come detto, Assiri fa i conti anzitutto con la propria generazione).
Certo non era meglio quando in piazza mettevano le bombe e le inchieste erano deviate; non erano migliori i tempi dei muri di gomma, anche perché non sono ancora finiti. Ed "è questa ironia che fa figli insicuri" scrive Assiri nella poesia d'apertura, che tiene insieme, sotto il titolo Il malore attivo (quello dell'anarchico Pinelli quando precipitò dalla finestra della questura di Milano, secondo la sentenza del giudice D'Ambrosio), la Banca dell'Agricoltura, Piazza della Loggia, l'attentato alla stazione di Bologna e persino la morte di Pasolini, che entra a segnare con il sangue il nostro destino di tardo moderni costretti in una democrazia malata, dove "pensare al futuro è pensarlo da ladri". Una chiusa epigrammatica, che tiene tutti fuorilegge: chi ha rubato perché potente e chi ha rubato per sopravivere. Ma ladro, qui, potrebbe essere addirittura figura archetipica: quella del viandante parassita, che vive sulle spalle delle formichine operose. E quella di chiunque sfrutti una situazione senza assumersi responsabilità, in politica, in amore, nella cultura.
In tempi ormai viciniè un libro che invece si assume il fare responsabile, anzitutto mettendo a fuoco la precarietà dell'esistente, dove nessuno è innocente: "far finta di essere sani", scrive Assiri citando Gaber, è una pratica dell'ipocrisia italiana che ha pervaso ogni nostra cellula. Si esce da questa melma rifondando il patto tra generazioni, dall'eskimo al loden, "far pace con il morto / coi fratelli precedenti". Una pace che nasce hobbesianamente da un contratto, non dalla disposizione dell'anima candida, bensì dalla rifondazione della civis, con regole precise, per uscire finalmente dallo stato di natura. Questa pars costruensè soltanto sfiorata nel libro, dove invece domina la maceria di quanto siamo diventati dopo le promesse della repubblica antifascista. Maceria che trova nelle forme gergali e basse, nelle frasi idiomatiche, la sua cifra: "pagherete caro pagherete tutto pagherete un cazzo" sintetizza Assiri con l'amaro di chi, in quella minaccia, aveva forse intravisto l'inizio di un futuro differente. E ironizza, altrove, mescolando Nilla Pizzi con le toghe rosse e il gergo da osteria: "Entra la corte svolazzan le toghe papaveri alti il resto son seghe", misura lunga che bene incarna il proprio scheletro metrico-stilistico: stringhe versali, citazionismo, soluzioni retoriche frequenti (la sineddoche "papaveri" per "rossi" che subito, per analogia, aggancia la canzonetta sanremese "i papaveri sono alti alti alti") e il costante sguardo volutamente rasoterra, dove "seghe" sta per cose di poco conto, cose piccoline, come la Pizzi quando canta Papaveri e papere.
   Soltanto una osservazione critica: qualche nota sarebbe stata utile a chiarire i riferimenti di cronaca che entrano e escono all'improvviso, disorientando anche il lettore più accorto. Un esempio per tutti: per capire a che cosa allude la terzina "Marco con la voglia nella pancia / 23 chili circa di sorelle più viste e di parole grosse / che hai imparato a consolare" ho dovuto chiederlo all'autore stesso, che mi scrive: "Marco è la più piccola vittima della strage aveva 3 anni, fu riconosciuto da una voglia che aveva nella pancia  e l'esplosivo usato era il compound b un esplosivo militare del peso di 23 chili".




Pietro a letto con la febbre o in piazza con le bombe
a non sapere chi era l’uomo con la borsa, il taxi, la mancia, la corsa
l’acqua al mulino, la finestra poi pino
il rumore dei baci e dei pianeti in scorpione
e stare in silenzio che è già meglio di niente
verificare le note rintracciare la fonte
per competenza si cambia procura
è questa ironia che fa figli insicuri


**

Sotto le unghie dove tenevi il mondo
consumavi maggio di lenzuoli tutti in fila
senti come tace il tuo pugno alzato
adesso che indietreggi perché sei rimasto vivo
tra una scarpa calzata e un’altra perduta


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I ragazzi dal coro: presidente a fan culo
c’è rimasto del sangue tra la testa e la schiena
Pierpaolo sa i nomi ma senza gli indizi
le colpe le talpe il golpe e son cazzi
il cancello la casa lo sciopero i quadri
pensare al futuro è pensarlo da ladri.


**

Entra la corte svolazzan le toghe papaveri alti il resto son seghe
tutti i colpevoli trovati in serata con alibi pronti e corsia riservata

si parlava così in fretta di pericoli e stagioni
si confondeva amore con incontrarsi qualche volta
il nostro immaginario che non controllava il movimento
così che ogni richiamo ci sembrava un cambiamento

differenza che spariva tra chi il segreto proteggeva e chi lo percepiva


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Argomentare il ritornello di una rivoluzione al giorno
è come avere in bocca qualcosa di meraviglioso
le costellazioni imparate tra i denti sani e quelli guasti
sui libri imprestati da amici ammazzati o da quelli rimasti


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La propensione all'amore delle stanze in affitto
ti piegava come la latta delle valda
qui è da ore che non si spara in italiano
e il discorso si rovescia una gamba dopo l'altra


**

Quella manina svelta che parlava come noi
tirando piccole ore da gelosi
non come adesso che se senti due urli
o è un ubriaco o una festa di laurea




Alessandro Assiriè nato a Bologna nel 1962. Da molti anni vive tra il Trentino, Bologna e Verona, città dove gestisce la Libreria Bocù insieme alla sua com­pagna. Si occupa di arte e promozione culturale e collabora a vario titolo a riviste e iniziative letterarie. Pubblica da anni opere in versi per le quali ha ottenuto significativi riconoscimenti. Tra le ultime cose, Morgana e le nuvole, Aletti editore; // giardino dei pensieri  recisi, Aletti editore; Modulazione dell'empietà, Lieto Colle; Quaderni dell'im­postura, LietoColle; Sui passi per non rimanere, con Chiara De Luca, Fara Editore; La stanza delle poche righe, Manni  editore;  Cronache  delta  città parallela, poemetto in versi insieme a Serse Cardellini, Thauma edizioni.
Qui il suo blog.
  


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