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Annelisa Addolorato: La poesia come mandala

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Dodici giorni di poesia in India (prima parte)

In aereo accanto a me è seduto un ragazzo indiano abbastanza in carne, che indossa placidamente una maglietta con sopra il Che Guevara. Dopo qualche silenziosa ora di volo da Instambul verso Mumbai, durante il sontuoso pasto servito dalle hostess della Turkish Airlines, ci auguriamo reciprocamente buon appetito e verso la fine del volo ci rivolgiamo addirittura la parola.
Poco prima che l’aereo atterri parliamo brevemente, e da questa conversazione last-minute scopro qualcosa di molto interessante: il mio viaggio letterario in India inizia sotto il benevolo sguardo di Ganesha, la più importante divinità del pantheon indù, la prima ad essere nominata nelle preghiere dei devoti: sono i giorni della sua festa! Figlio di Shiva, Ganesha è una divinità che ha ereditato dal padre il dono della danza cosmica. È il dio-elefante, dal corpo umano e dalla testa di elefante. Dopo le cerimonie, le processioni della sua festa, le statue che lo ritraggono vengono immerse in un fiume, o in mare, in un lago, o nelle vasche dei templi. È spesso identificato con l’‘om’, mantra della meditazione e si ritiene che l’ispirarsi a lui, aspirando alla sua saggezza, porti a un più naturale e spontaneo allontanamento dal peso dell’ego, considerato (anche nel buddismo, oltre che nell’induismo), un fardello, la peggior zavorra di cui gli esseri senzienti si devono liberare per poter vivere un’esistenza felice e coerente con la propria essenza, con i propri simili, gli altri esseri senzienti e anche con i naturali principi del cosmo. Il mio compagno di volo, che vive in Africa per lavoro, sta tornando in India proprio per la Ganesha Caturti, una delle festività indù più importanti dell’India, e sicuramente la più partecipata nello stato del Maharastra, dove ci stiamo dirigendo. Con sentita emozione e sincero orgoglio, mi dice di far parte di una nutritissima congregazione di giovani della sua città, che trascorreranno le giornate conclusive della festa suonando e cantando per le strade, in onore di Ganesha. Lui torna a casa per questa festa, e per cantare e suonare insieme agli altri nella sua città. Vengo anche invitata a questa festa, ma il mio tragitto è già stabilito da tempo, e non lo posso proprio modificare. Comunque lo ringrazio, accetto e accolgo volentieri, se non altro idealmente, questo invito e il mio viaggio si rivelerà davvero all’insegna di Ganesha, della sua saggia e benevola spensieratezza, della sua capacità nel rimuovere gli ostacoli dal cammino. È infatti per eccellenza la divinità induista ‘abrecaminos’, per dirlo in spagnolo e tradurne il ruolo in una tradizione religiosa caraibica sincretica (quella de los ‘santeros’), agli antipodi dall’India. Devo ammettere che ho una certa familiarità e sicuramente molta simpatia per questa divinità, come per gli elefanti, giganti, saggi animali pacifici e vegetariani. Durante questo viaggio indiano, durante il cammino, incontrerò anche innumerevoli immagini e rappresentazioni - che ho cercato di documentare con moltissimi scatti fotografici - di elefanti (gli animali) e di Ganesha (la divinità).

La prima tappa di questo viaggio di metà settembre 2013 mi porta diritta all’ottava edizione del Kritya International Poetry Festival: il primo Festival annuale di poesia in India, e come spesso ci ha ricordato il poeta e diplomatico indiano Abhay K. Kumar (attualmente di stanza in Nepal, a Kathmandu), anche il più grande dell’Asia meridionale.

Si può seguire ripercorrere idealmente il mio tour poetico indiano di dodici giorni (viaggio incluso), realizzato nel settembre 2013, guardando una mappa dell’India:
prima cercate Mumbai, nello stato del Maharastra, poi lì vicino vedrete Nagpur, la ‘città dei serpenti’, situata esattamente al centro dell'India. Qui - due anni fa, nel maggio del 2012 - mi ero sentita come se fossi una ignara eppure precisissima freccia scoccata per trascorrere i miei primi quattro giorni (poetici!) in India, in un viaggio tanto rapido quanto intenso, in occasione della mia partecipazione alla sesta edizione del Festival Kritya. Questa invece è la prima tappa del viaggio di quest’anno: Wardha. Anche qui ci sono molti serpenti.

Questa volta, a differenza del mio primo solitario viaggio poetico in India, ho condiviso tutto l’itinerario, geografico e letterario con la generosa e vitalissima scrittrice italo-costarricense Zingonia Zingone, poetessa e romanziera che scrive in spagnolo e vive a Roma. È una scrittrice prolifica, con libri pubblicati e tradotti in vari paesi del mondo: qui in India presenta proprio in questa occasione il suo libro Acrobat of the Oblivion, tradotto dalla casa editrice di Mumbai Poetrywala.
Insieme ci siamo avventurate in questo tour indiano, come una tanto minuscola come indipendente delegazione della poesia femminile proveniente dall’Italia. Entrambe - e io per la prima volta - abbiamo anche contribuito all’organizzazione del Festival di quest’anno, avendo l’onore di formare parte integrante del suo International Organizing Committee.

Dal piccolo aeroporto di Nagpur, in una macchina piena di poeti, ci spostiamo verso Wardha. In macchina conosciamo il poeta, cantante, pittore, profondo conoscitore della cultura indiana e studioso di sanscrito e hindi Mathura (M. Lattik, autore, tra gli altri, del libro Sõstrahelmed – Currant Beads), proveniente dall’Estonia; il prolifico scrittore e poeta greco Anastassiss, e il poeta indiano, con il quale avrei poi avuto il piacere di condividere la sessione di reading durante l’ultimo giorno del festival, insieme ad altri  poeti di lingua hindi, e al celebre poeta palestinese Marwan Makhoul.
Arriviamo all'imbrunire al campus della Mahatma Gandhi International University: ora cercate in Googlemaps la località di Wardha. Proprio nei pressi dell’Università che ci ha ospitati, si trova l’ashram dove Gandhi ha vissuto per dodici anni, nell’epoca conclusiva della sua vita. A Wardha si respira la placida e convinta, sorridente e inflessibile sobrietà del Mahatma/Grande anima-Gandhi. Qui per esempio i letti sono dotati di un solo lenzuolo, che copre il materasso (molto duro e confortevole). Un aspetto che personalmente trovo molto civile e mi piace molto è che qui, ma scopro che è una norma governativa, l’alcol non è (viene definita ‘dry zone’) considerato tra i beni di prima necessità, e dunque non è incluso nei pasti, né offerto agli ospiti. Gli ospiti che lo desiderano, lo devono sempre e comunque considerare come un ‘plus’, un bene di lusso a cui - di solito - provvedere privatamente se lo desiderano. Si pensi che il consumo di alcol non è previsto né nella religione buddista, né induista, né musulmana.
Degno di nota anche il dettaglio del nome delle vie del campus, tutte dedicate a poeti indiani.
Il Festival Internazionale di poesia Kritya, diretto da Rati Saxena, poetessa, scrittrice, traduttrice, cattedratica, allieva dello studioso e poeta indiano Ayyappa Paniker, sta per cominciare: quest’anno si celebra la sua ottava edizione itinerante. Una delle peculiarità più accattivanti del festival, che lo rendono unico nel suo genere, e ne rendono ancora più encomiabile la complessa realizzazione, è il fatto che ogni anno, come dall’idea originaria del progetto, si svolge in una zona e città diversa della vastissima India.

Durante la prima serata si apre formalmente il Festival, e i poeti che, come noi, sono già arrivati, vengono accolti dal Rati Saxena dallo staff e dalle autorità universitarie. La mattina dopo il nostro arrivo inizia il Festival: prima dell’inizio delle sessioni dei reading del giorno, l’inaugurazione del festival avviene anche con un rituale e con la musica: ogni poeta apporta la fiammella della poesia: insieme ne accendiamo il fuoco (sacro).

Nel cortile, intanto, alcune studentesse danno vita ad un coloratissimo mandala, anche questo realizzato in occasione della inaugurazione del festival. Come la poesia, un mandala è una rappresentazione condivisa dell’universo, fatta di granelli colorati, che si combinano dando vita a forme geometriche perfette, uniche e anche nuove.

A introdurre la prima mattinata di Kritya, oltre a Rati Saxena, che dirige il Festival, interviene anche il comitato scientifico: Vibhuti Narain Rai e Rakesh Mishra, docente presso il Dipartimento di Non-violenza e Studi sulla Pace della Mahatma Gandhi International University; il Professor A. Arvindakshan, della Mahatma Gandhi Antarrashtriya Hindi Vishwavidyalaya (Wardha).

E così inizia il festival. Ognuna delle tre giornate del Festival include quattro sessioni di readings, in cui poeti indiani e poeti che provengono da altri luoghi del mondo si incontrano e si succedono sul palco, con letture multilingue intervallate da intermezzi musicali o presentazioni di alcuni eventi, riviste, volumi che spesso sanciscono la collaborazione di poeti di diverse culture, sia indiane sia planetarie.

Tutti i poeti leggono le proprie poesie nella propria lingua materna, o almeno in una di esse - dobbiamo pensare alla grande ricchezza linguistica, ecumenica e multiculturale dell’India, con numerosissime lingue, oltre alla lingua nazionale, l’hindi. Durante il Festival Kritya ascoltiamo una decina di diverse lingue indiane: dall’hindi (con poeti di diverse generazioni: Rituraj, Vinod Kumar Sukla, l’acuto e senza tempo Naresh Saxena, Chandrakant Deotale, Dinesh Kumar Shukla, Basant Tripathi, Harpreet Kauur, la stessa Rati Saxena, Pawan Karan, Divik Ramesh, con le sue liriche levigate e dai contorni nitidi, e il giovane poeta, pittore e cantora Amit Kalla, anche lui parte integrante da anni dello staff di Kritya) al kannada, con, oltre alla poetessa di Bangalore Mamta Sagar, anche un esponente di spicco della poesia indiana quale il poeta cantore Hulkuntemath Shivamurthy Sastri Shivaprakash, specialista e studioso di mistica – soprattutto del movimento indiano shivaita dei bhakti, ora Direttore del Centro Tagore di Berlino, e già professore di estetica e Preside di Facoltà presso la prestigiosa School of Arts and Aesthetics della Jawahrlai Nehru University di Nuova Delhi: un vero e proprio mistico d’oggi, devoto alla poesia; dal punjabi (Surjit Patar, e il giovane poeta e cantore Ekam Manuke) al marathi (Prasenjit Gaikwad), dal bengalese (Udaya Narayana Singh, che scrive anche in lingua maithili, Subodh Sarkar) all’odisha (con la poetessa e traduttrice Pravasini Mahakud); dal gujarati (Sitanshu Yashaschandra) al malayalam (con K. Satchidanandan.

Ci sono anche tre poeti indiani di lingua inglese di tre diverse generazioni: K. Satchidanadan, Sudeep Sen (poeta di spicco della sua generazione, riconosciuto a livello internazionale, e - tra gli altri - autore del libro d’artista intitolato Ladakh),  recentemente insignito dal governo indiano tra gli intellettuali e artisti che più valore culturale stanno apportando al proprio paese e Abhay Kumar, giovane diplomatico ora di stanza a Katmandhu, anche molto interessato al tema della pacifica convivenza interculturale e impegnato nella stessa direzione.

Tra i poeti internazionali anche la intensa poetessa estone Triin Soomeset, di rara profondità e insieme rarefazione, i poeti e traduttori turchi Müesser Yeniay (esponente della nuova generazione di poetesse turche) e Metin Cengiz, i poeti finlandesi Helena Sinervo e il giovanissimo e già più che celebre Niillas Holmberg (cantante, musicista e performer sami), la acuta e poetessa e video poeta norvegese Odveig Klyve, i poeti cileni Sergio Reñasco e Sergio Badilla Castillo, e i tre poeti irlandesi Liam Ó Muirthile, Gabriel Rosenstock (specialista in haikus e molto attivo nella diffusione e preservazione della poesia in gaelico) e Marc Granier.

Sotto un immenso tappeto di stelle, da Wardha partiamo all’alba, in un’altra macchina piena di poeti, insieme alla poetessa bilingue francese e occitana Aurelia Lassaque e alla poetessa kannada Mamta Sagar, di Bangalore. 
                                                       foto di Annelisa Addolorato


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