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La poesia come mandala (seconda parte)

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                                                           foto di Annelisa Addolorato

Dodici giorni di poesia in India (seconda parte)

di Annelisa Addolorato




Ora inizia la seconda tappa del viaggio: da Nagpur voliamo a Mumbai, e da lì direttamente a Delhi, dove ci fermeremo due giorni. Delhi la vedo sostanzialmente dall’automobile, scrutando fuori e scattando foto alacremente, per non perdermi un solo secondo di quel che c’è fuori dal finestrino,
A Delhi rincontriamo il poeta e cantore di lingua Kannada Shiva P, specialista in mistica bakti, sufi, orientale è cattedratico e attualmente direttore del Centro Tagore a Berlino.
Alla Sahitya Akademi, ci attendono come ospiti del Literary Forum, per un nostro reading (io leggerò in italiano) e una sessione di dibattito sulla poesia, i simboli e la traduzione. Shivaprakash mi fa il grande onore di leggere la traduzione inglese delle mie poesie, mentre io leggo in italiano.
In questa occasione rivedo la prolifica e pluripremiata scrittrice in lingua Odisha Mona Lisa Jena, che oltre ad avere al suo attivo una ampia serie di volumi di prosa e poesia pubblicati, sta attualmente anche realizzando un importante lavoro di valorizzazione della lingua e della cultura Odisha. Segnalo a questo proposito l’antologia di racconti, di vari autori, in lingua Odisha da lei curata e tradotta in inglese sotto il titolo Dasuram’s Script - New Writing form Odisha (HarperCollins, New Delhi 2013), e che, tra l’altro, restituisce al lettore non indiano un prezioso spaccato della vita locale di oggi.
Il giorno seguente, mi si presenta la opportunità di andare ad Agra e visitare il Taj Mahal, insieme a una delegazione di scrittori e intellettuali croati, che sono in India per uno scambio culturale e per partecipare ad alcuni festival di cinema. Il Taj Mahal, situato ad Agra, nell'India settentrionale, è un mausoleo fatto costruire nel 1632 dall'imperatore moghul Shah Jahan in memoria della moglie preferita Arjumand Banu Begum. È una delle sette meraviglie del mondo. Sperimentiamo anche la foratura di una gomma, poco dopo la partenza da Delhi, nella quasi deserta e nuovissima autostrada dotata di pannellini fotovoltaici: questa sosta imprevista ci permette di fermarci un poco al sole, e anche di essere soccorsi da persone molto cordiali.

Il giorno seguente alla visita al Taj si lascia Delhi e si torna quindi a Mumbai, per l’ultima tappa del viaggio. Qui, pur rimanendo in città, con mio iniziale stupore, cambieremo alloggio dopo due giorni, visitando prima la zona di Colaba, a sud, e poi quella di Juhu. Attraversando il variopinto traffico di Mumbai capisco come mai è stato meglio spostarsi: si tratta di una unica città, ma in effetti è così vasta.

A Mumbai partecipiamo al primo Festival internazionale di poesia organizzato dalla casa editrice Poetrywala, che da dieci anni pubblica testi di poeti indiani e non indiani con grande accuratezza e amorevolezza: a dirigere la casa editrice c’è una coppia d’eccezione, una vera e propria coppia poetica, cioè il poeta e Heimant Divate con la moglie Smruti, che hanno anche ideato e coordinato insieme il festival, anche con il supporto degli entusiasti e giovanissimi figli.
Il festival si svolge nel College di Architettura, nella zona di Colaba, zona sud di Mumbai, e viene inaugurato da una breve commemorazione che si svolge davanti alla casa che fu la residenza indiana dello scrittore Kipling, e che ora è all’interno dei giardini del College.
Qui rincontriamo alcuni poeti che erano con noi al Festival Kritya, e ne conosciamo altri. Ci sono poeti musicisti, come Anand Thakore (che si accoglierà anche a casa sua, per ‘festeggiare il compleanno’ della casa editrice Poetrywala), e poeti drammaturghi, come Vivek Tandon. La giornata è suddivisa in quattro diverse sessioni di readings collettivi, e un discussion panel nel pomeriggio. I poeti, indiani e non indiani, che partecipano al Festival sono: Adil Jussawala, Gieve Patel, Manya Joshi, Madhi, Sarabjeet Garcha, Liam O Muirthile, Varjesh Solanki, Sandesh Dhage, Salil Wagh, Sanjeev Khandekar, Tsippy Byron, Manoj Pathak, R. Raj Rao, Bodhisattva, Prabodh Parikh, Marc Granier, Prakash Holkar, Mustansir Dalvi, Dinkar Manwar, Mangesh Kale, Prabha Ganorkar, Murli, K. Ramesh, Gabriel Rosenstock, Abhay Sardesai, Sanjeev Khandekar, Mitra Parekh, Sachin Ketkar, Hemant Divate (editore e poeta in lingua maharati e inglese, appunto), Zingonia Zingone, Jane Bhandari, Vasant Dahake, Manohar Shetty, Ranjit Hoskote.

Partecipo a una delle due sessioni di reading pomeridiane. Dopo il reading partecipo come al discussion panel su come riportare la poesia al centro del panorama culturale internazionale. Fermo restando che si tratta di un tema che necessiterebbe dell’intera comunità poetica mondiale, per essere anche solo minimante sfiorato, diciamo che raccolgo la sfida, nel mio piccolo, cercando di non perdermi d’animo. Ho preparato sul mio iPad l’intervento e delle note con un breve intervento sulla situazione italiana, e su quel che più conosco. E ho quindi modo di parlare di quello in cui credo e anche che vedo: cioè che la poesia e il linguaggio poetico in realtà sono proprio il genere e il linguaggio del presente, anzi del futuro! Il linguaggio poetico è incisivo, sintetico, condensando sullo spazio della pagina - reale o virtuale, multidimensionale che sia - la sintesi dell’analisi della realtà. È anche un modo di essere, un modo di vita, condiviso da persone di tutte le età, nazionalità, a diversi livelli di scolarità, e si ‘manifesta’ in modalità molto eterogenee: dai reading ‘classici’, alle pubblicazioni cartacee e on-line, alla scrittura collettiva, ai collettivi e gruppi di poeti, agli slammers e alle ‘crew’ che spesso dalla spoken word sfiorano convicono con la parola cantata, alle ‘palestre poetiche’ (mi riferisco per esempio alla attuale modalità del realismo terminale suggerito da Guido Oldani... Insomma, sia guardano alla situazione nel mio paese, sia conoscendo e viaggiando nel mondo poetico indiano e di altri paesi, non mi sentirei proprio di dire che la poesia langue o sta languendo: tutt’altro! Menziono anche altri fenomeni, avvenimenti che in Italia stanno nascendo attualment, e vengono a ‘smuovere’ ulteriormente le acque della poesia. Tra gli altri, la nascente federazione italiana del PoetrySlam, all’interno e per la quale ho attualmente il piacere di collaborare e lavorare. Il Poetry Slam è una ‘disciplina’ poetico-artistica nata negli anni ottanta negli Stati Uniti, e arrivata solo molto più tardi in Italia. È caratterizzata dall’elemento performativo della poesia, esaltando la ‘spoken word’. È anche e soprattutto, tra l’altro, e per questo mi sta appassionando e mi ha avvicinata a sé velocemente, una forma di poesia-gioco collettiva, molto aggregante socialmente. Un’altra caratteristica molto positiva che ha è che riscopre entrambi i lati che rischiano di essere più facilmente, almeno nell’ ‘Occidente’ attuale, omessi o dimenticati: cioè la nascita della poesia come nodo tra voce, canto e parola (parola parlata, ma anche cantata! E questa è una caratteristica della poesia ancora molto attuale molto viva e palese nella poesia inidiana, orientale, araba) e anche il carattere politico, di piazza, nel senso di collettivo, della poesia.

La poesia è nata, sia che la si consideri nata storicamente (cioè con una data di nascita cronologicamente reperibile), o che la si consideri da un punto di vista mitico/mitologico, ma comunque è sempre stata comunicazione, scambio, atto comunicativo condiviso, certo mai lontano da un elemento estetico (legato ai sensi, e quindi non rinchiudibile solamente tra pagine o angoli nascosti, bui!). Ma penso, e dirò anche in questo contesto, di più: credo che al giorno d’oggi la poesia sia un grande, forte e anche flessibile e delicato strumento atto ad aiutare l’evoluzione umana, sia da un punto di vista interiore che ‘pratico’. Permette alle persone di comunicare in un modo migliore e più completo e complesso, rispondendo adeguatamente alla reale natura umana, e arrivando a toccare le parti più sensibili dell’essere. Proprio per queste ragioni ritengo che sia il linguaggio del futuro. La poesia è mediazione condivisa, perpetuo, perenne dialogo: contemporaneamente un dialogo interno e pubblico, che permette, facilita la comune finalità sociale della convivenza, e della convivenza pacifica. 



La poesia è anche l’arte del ricordo… nel video intitolato “Khonsay: una poesia in molte lingue” è possibile identificare il poeta come la persona della società, nella società, e anche la rete dei poeti nelle diverse società, nell’umana tribù (come, tra gli altri, avrebbe detto il poeta-mistico spagnolo, della Generazione degli anni ’50, Valente), come ‘coloro che ricordano’, che hanno memoria della nostra umanità e della nostra storia, ma anche coloro che ‘l’hanno a cuore’. Per questo identificherei oggi il poeta con la rete delle persone che formano parte della società, della tribù allargata, in ogni città, nazione, continente: una rete globale, tutt’altro che spersonalizzata o spersonalizzante, ma anzi consapevole all’ennesima potenza della propria ricchezza culturale e quindi cultuale: del culto dell’umano, e della evoluzione condivisa, dunque, e in armonia tra ricordo, storia e innovazione, evoluzione.  La poesia è e sempre presuppone un incontro culturale e linguistico, persino tra le persone dello stesso paese (si pensi ai dialetti, anche solo in Italia, senza arrivare alla situazione macroscopica indiana di cui abbiamo accennato anteriormente).

Ma la poesia è anche meditazione condivisa: la materia che si incontra e si fonde con l’immateriale. È la sensibilità che incontra le capacità comunicative. Meditando su questo, è trascorso un altro frammento temporale del viaggio, che sta per finire.
Da Colaba, zona sud di Mumbai, accanto al mare, si parte per una gita domenicale tipicamente indiana, e affrontando anche una lunghissima coda, al porto, anch’essa tipicamente indiana, e dove cerco di mimetizzarmi tra le donne indiane, usando anche io il mio piccolo ombrello per ripararmi dal sole, invece che dalla pioggia.
Arriva una bimba e mi stampa sul dorso della mano una bella goccia decorata, tra l’latro identica all’anello che porto proprio su quella mano, con uno stampo di legno intinto nell’henné. Dietro di lei arriva un’altra bimba e senza lasciarmi scelta mi annoda al polso dello stesso braccio un braccialetto di filo in cui sono infilati bellissimi gelsomini freschi: direi che sono pronta per il pellegrinaggio all’isola. Si parte in barca per una visita all'isola di Elephanta, chiamata Elephanta Caves, per le sue grotte sacre, indù e buddiste.
Sono grotte intagliate nella roccia, e la maggior parte ospita statue giganti di varie divinità indù. Ci sono anche grotte di culto buddista. Anche qui vige la convivenza interculturale e interreligiosa, come in tutta l'India che ho conosciuto io. Le grotte si raggiungono dopo molte e altissime rampe di scale di pietra, che ci portano a vedere dall’alto l’isola, dopo aver attraversato un coloratissimo e accogliente bazar e una zona intermedia, più verde e tranquilla.
Arriviamo alle grotte: intere famiglie indiane trascorrono la giornata qui, sotto gli alberi ci sono famiglie che chiacchierano o riposano, bimbi che giocano, altri gruppi impegnati in un pic-nic.
In tutta l’isola ci sono scimmiette, che saltano, camminano, o ci guardano dagli alberi.
Davanti alla grotta più lontana dal porto c’è un grande albero che ospita una grandissima quantità di scimmie: quando si mettono a ‘parlare’ tutte insieme, fanno persino un po’ paura. Con la mia visita a quest’ultima grotta, con in fondo un altare ricoperto di gelsomini bianchi, ha termine questo viaggio.

Il multilinguismo e multiculturalismo indiano ha in sé e apporta una ricchezza culturale immensa a chi visita l’India, a chi la abita e a chi ha avuto, come me, la fortuna di poter iniziare a conoscerla.
Come un mandala, la poesia è un mezzo di condivisione, una rappresentazione esatta della complessità del mondo, con tutte le diverse culture, lingue, religioni: i diversi colori dei simili ma tutti diversi granelli di sabbia che ne fanno parte. La poesia come mezzo di mediazione linguistica e culturale, come ponte che unisce e che conserva o porta la pace, permettendo a tutti quelli che ne accettano sfide, norme, regole - proprio come se la convivenza umana e culturale fosse un gioco condiviso - sia di esprimersi che di conoscere far conoscere e riconoscersi nella propria identità culturale, linguistica.
Sentire leggere, parlare e cantare tutti questi poeti in lingue diverse, vivere insieme e aiutarsi reciprocamente a capirsi, è un segnale forte, che mi fa sentire forte e rinnovato il pacifico messaggio di Gandhi sulla possibilità di un mondo in cui si possa convivere in pace, affondando, tutti insieme, le nostre radici sia nella nostra terra, sia in un cielo condiviso: facendo prosperare entrambe con l’aiuto e la comprensione di tutti.
La poesia è un mandala.

Qui  la prima parte.


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