Mi sembra giusto dare rilievo all'iniziativa delGiornale di Vicenza che, in occasione della Giornata mondiale della Poesia, ha dedicato due pagine culturali ai poeti vicentini. L'evento è stato talmente straordinario che ne ha parlato perfino "Fahrenheit", il bellissimo programma di RAI radio Tre.
Paolo Lanaro, Mondo (inedito)
La poetessa Szymborska un giorno
ha buttato lì due punti dopo i quali
si è aperta una porta ed è entrato un gatto.
Una cosa semplice in fondo.
Difficile però che possa succedere
in filosofi a o in certi tipi di scienze
o nel mezzo di un rito religioso.
In pratica la poetessa Szymborska si è limitata
a lasciar fare alle cose, consapevole
che le cose accadono che lo vogliamo o no.
Per questo, ma anche per altri motivi,
chiunque può mettere due punti e assistere
ai volteggi di una schiera di gazze,
alla sbronza di un padre di famiglia,
ai segnali argentei di un radar,
alla parabola di una palla da tennis.
Cioè quel che ampollosamente chiamiamo «mondo».
Preceduto casualmente da due punti,
seguito chissà da che.
Roberto Cogo, Qualcosa di impossibile (dalla raccolta inedita “Un confine mobile”)
Annunci il cambiamento una nulla pretesa
l’essere una cosa impossibile
allora soffi a forte scuoti i tuoi rami adesso
fai cadere le foglie in un secco d’illusioni
alza un po’ di polvere
nello sfaldarsi delle nebbie
fatti vedere soltanto attraverso le cose
nell’intreccio del loro evolversi e mutare
forse solo un sogno con le sue penombre
un volo di gheppio planante tra le creste
avvolto d’improvviso al malumore
ti mischi con le nuvole alla termica le cingi
per spingerti in azzurro senza fondo
annunci il cambiamento l’essere ancora
qualcosa di impossibile
Erika Crosara: da (infanzie) (poesia edita nel libro d’artista di Alessandro Zorzi)
(e amare molto lungo la direzione presa da tempo).
passavano pure i nati bambini che cadevano dalle
biciclette inclinate, dalle naturali rampe: qualcuno faceva
un sorriso, apriva per poco le bocche. i vasti rami sopra le
loro teste, cielo e molte interminate macchie.
svolgevano appena alcune faccende bonarie, uno soltanto
si dichiarava vistoso con le sue mille spillette. la donna
vestita di chiaro girava dicendo la prego, si sposti.
Giovanni Turra Zan, Una generazione (inedito)
Perduravano le incertezze mentre l’ombra scendeva
sui morti e l’isola e la casa venivano occupate.
Avresti preferito nasconderti a Granezza, ma le donne in famiglia
cadevano dal sangue delle generazioni e la madre voleva le fi glie
nella cucina, con la stufa e la porta sul letamaio.
La poltrona rossa reliquia al focolare, la ricordi nel giorno
del sussurro che vi ammutolì, con tutte le femmine impegnate
al tavolo nel gioco solitario. A Bosco Nero, Loris era caduto tra i germogli
dei carpini; il suo corpo nascondeva larve di prosperità,
ma non fu più per noi il perdono dell’aria che irritava le porte di casa.
Fu per tutte e sette noi donne quel dissimulare di granito
che ci ammalò il pianto, salvo che per Mary, che rese vasta.
Quando anche Tom lasciò tutta la prigionia della vita,
e non più solanacee a ricordargli la nausea del mondo,
come in Germania nel ’43, sul cancello di casa piangemmo
i completi di lana ora vuoti, come ultima consegna della cura,
della storia amata come l’erba intorno all’acqua, che riempiva
en tel làbio la brocca, ogni santissimo giorno dell’anno.
A Mary Arnaldi, staffetta partigiana
Alessandra Conte,Cosa ti dice (inedito)
Cosa ti dice la morte per acqua? quelle parole liquide insinuanti,
il fiume dentro al fiume, il sale che non si mescola all’acqua dolce;
il dolce della pelle gonfi a dal bagno e della saliva insapore su un corpo
pulito. questo dice la morte per acqua, un canto afono con voce
ultramarina, e il ricordo molle delle pozze nei tuoi occhi. e poi
dice ancora, con corde sfregate nella laringe dei giorni di maggio
cicala nella gola con le elitre a sfinirti. quando morirà lasciando
l’esuvia perfetta di sé nell’antro, lo farà caverna sotterranea o grotta
marina dove mugghia una schiuma rosa di sangue e cloro. e tu sarai
lì, un canto d’amore, corpo viola in lettiga su quei flutti nell’antrolaringe,
a trattenere con le dita ogni frazione, ogni sillaba pronunciata
appena, nemmeno pensata
aprirai il libro per rinvenire le mani abbandonate
sulle ulne dritte tra i giunchi. cinque speroni
vertebrali emergeranno dal dorso dell’impronta,
dieci biglie. più in là, all’approdo, le gambe saranno
le tese attorcigliate a una scaletta di metallo che la chiglia
tira al largo dicendo ‘sonno’. e allora sarà pace, ma
l’alito salino batterà i sonagli tribali delle tue falangi
Broggiato, La migliore stagione (Da “Anticipo della notte”)
Sia di Milano o Parigi
questa luce bassa e segreta
che solo lungo l’acqua allenta
la sua presa e dalle periferie
sgrana i profili delle torri
noi vorremmo trattenerla così
con la presunzione di chi
ha guardato le città dall’alto
nell’ora designata
in quell’ora pomeridiana
che ne fa trattenere
nel respiro e nello sguardo
la loro natura come
di fossile impresso nella pietra dura.
E domani
Siano Monaco o Belgrado
nulla potrà mutare la devozione
con cui oltrepasseremo le loro porte:
è la migliore stagione quella che cresce fantasmi
che oltrepassa la vita
donando poesia.
Stefano Strazzabosco, Juan G (inedito)
In qualiquanti pezzi, quantiquali
pezzi sei andato, padre nostro mai
vivo abbastanza? In quali occulti esili,
quanti amorosi nascondigli andrai
con il tuo passo di splendore e l’anima
disarcionata da un cavallo in corsa?
Quanti altri sangui, quali scuri angoli
vai visitando nel tuo muto andare
che scorre come un fiume sotto il mare?
Il mondo non ha terre né giardini
grandi abbastanza per il tuo fiorire
ora che neanche le parole sanno
il loro nome, calcinate e torte?
Il cielo non ha uccelli che feriscano
le tue mani che un tempo
carezzavano guance più invisibili
della giustizia spettra? Padre nostro,
trema la voce quando dice: tace
la luce dentro agli occhi e il bistro
segna le nostre palpebre. Gennaio
spezza l’anello che faceva zoppa
la zampa al cardellino, il colibrì
passeggia nel suo manto di colori
sul davanzale della mortevita.
per Juan Gelman, in memoriam
Andrea Ponso, E lo stalliere (da “I ferri del mestiere”)
E lo stalliere seduto nel fi eno
mi sorrise: noi ci siamo arresi,
disse, e abbiamo deposto
ora gli arnesi, lasciato il campo
di grano a maggese. Ora la neve
pesa sui travi e i treni sono fermi
alla stazione: non c’è direzione,
né spazio, né amore in queste mani.
Stefano Guglielmin, Se la voce sola (da “Le volpi gridano in giardino”)
Se scivola parola al pane, se punge
e amore stacca, se aspra e tenebrosa bianca bocca
spinge e come corta vita brucia o scatta
se solo piove e piove, al ladro rubando tracce
se s’impasta il tempo e pa di padre e ma di madre
spàmpano, non più punta o squadra, non più lago
o tasca o golfo
se amore sgomita per restare, andando verso
tornando, se ogni voce
se ogni voce parla per noi, se ogni voce
alla poesia scalda i piedi, se si fa coro
dentro il legno o si perde
in pace
se io romeo e tu perfetta
in bilico sul canto, su questo
stento
se di nuovo esito tra palude e sorso
e ancora piove e piove e
piove…