Si apre con “Angelus” il nuovo libro di Francesco Maria Tipaldi, e non poteva essere diversamente: Traum (Lietocolle, 2014, prefazione di Maurizio Cucchi) indaga infatti il mistero dell’incarnazione, qui affrontata nella sua più cruda terrestrità, nell’impasto di orina, terra e doglia che ci costituisce in quanto esposti al massacro di Kronos. Uno stare sofferto nell’ibrido animale, nel “tanfo della natura che si rigenera”, in attesa dell’Apocalisse, che chiude (come “compimento” dell’amore divino per le sue creature) questo viaggio dantesco nella terra di mezzo, dove veglia e sonno, vivi e morti, fisiologico e patologico, altezza e precipizio s’incistano nella parola del poeta, nitida nel raccontarci la vita zoologica prima che diventi società umana (cfr. la differenza, nella cultura greca, tra zoé e bios), la vita nel suo indistinto muoversi per tensioni e distensioni, per boccioli e tumefazioni, per fluorescenze e diarree, quando ancora non si è organizzata in un moto di condivisa e patinata civilizzazione.
Tipaldi interroga la materia e i suo interstizi, quel nulla che, dice bene altrove Tommaso di Dio (“Premio Castello di Villalta” 6/05/14), “non è il non-ente della tradizione parmenidea, ma il nulla che permette il transito vitale, il nulla rigenerante, il nulla eccessivo e sempre eccedente che è potenzialità del divenire e, al contempo, giuntura vuota dove giocano gli assi della trasformazione della materia”. Un nulla in ogni caso inquietante, che si muove nell’impensabile, nell’impraticabile: i personaggi di Traum infatti, contadini e animali, soprattutto, vivono nell’eccesso di pienezza e nella fatica dello svuotamento, inconsapevoli della logica economica, per accumulazione e minimo dispendio, del sistema in cui sono inseriti, e presi invece, anzi prigionieri, dei loro umori, fisici e psicologici. Sembrano uscire da un Cristo si è fermato a Eboli dopo essere però passati per le lavande gastriche dell’espressionismo tedesco (e il titolo ne porta memoria; penso al Sebastian im Traum di Georg Trakl) e de La parte maledetta di George Bataille, dove appunto la dissipazione (la dépense) costituisce l’essere naturale, il modo in cui stiamo al mondo, prima di ogni finzione progressiva e conservativa.
Come nel filosofo francese, anche nel poeta campano il sesso contende sovranità alla morte, per quanto la morte vinca inesorabilmente. Ciononostante, l’amore, che “mette le ortiche nelle mutande” e fa impazzire gli uomini, trionfa nell’accadere, è Kairos, non più Kronos, “momento opportuno” in cui il senso torna senza resto e l’identità non piange la separazione originaria raccontata da Platone nel Simposio.
Anche la scrittura, per Tipaldi, assume la stessa funzione: contende il tempo alla morte, tenta di sopravvivere alla cancellazione, incidendosi nella carta, inventando immagini memorabili, potenti e precise, asciutte nella struttura sintattica ma ricchissime di richiami simbolici e culturali. Cito per intero forse la più bella poesia del libro, quasi additandola a modello di un percorso che ha fatto tesoro della cultura tragica novecentesca e dell’antisublime, che non cade nell’inganno della resa al quotidiano: “Dicono sia la morte questo senso / di spossatezza / questa stazione zuppa / di mosche // si dorme quasi sempre / uno sull’altro / sui corpi fiorisce l’edera della casa / – io lo so che verrete / madre / il nulla ci mangia nella mano / come fosse un cane”. Due versi finali splendidi, forse debitori del celaniano “L’autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici”?
POESIE DATRAUM (2009–2012)
novella seconda o del trauma
Da quando i maiali l’hanno caricato nel ‘92
il poveruomo è diventato demente,
passa il giorno a letto; di tanto in tanto
picchia a sangue l’albero di pere.
glory hole
siedi con me, cosa vuoi che
importi
se la morte ti germoglia sulle mani
o sul viso
io ho il nulla sul letto
e sbadiglia ed ingoia rumore
cosa vuoi che importi sotto il sole (?)
la vita è graziosa
noi avemmo il privilegio di non
durare
ricordi? qualcuno fecondò quelle tue
terre come fosse
un arcangelo
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Erano labbra reali
Erano labbra reali
parole reali nello stesso posto
e tu eri bianca come pane bianco
e ti ho toccata come un cieco
t’avrebbe toccata, avevi i capelli bagnati,
i capelli bagnati
anima
Angelus
Via dai culoni delle contadine
dove finisce l'orto.
La terra dà le grida del parto,
le carissime doglie, nasce la verzura.
-Sia lode alle molli latrine dei maiali-
la domenica non si lavora,
si posano le zappe e ci si veste per bene.
-Dio presenta al mondo le sue lattughe-
Ai petti tumefatti degli alberelli
una giostra di fieno, e l'anima uterina che bruca
di dita di pane a sazietà
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Quella non fu una giornata
pregiata.
Angelino perse i suoi
tenimenti, l’oro e divenne cieco, sordo
e impotente.
fu molto morto Angelino,
fu morto come prima che il padre e la madre
facessero cose,
prima che il nonno facesse cadere la zuppa
nell’erba e prima ancora
dei laghi di Garda e delle rane
nei laghi
dove si trova, dove si trova adesso
il cortisone è un fiore, le api hanno la testa
nel muco e le foglie pregano
novella quarta o della distrazione
e fuori una canoa sopra gli uomini
i fiori, la morte che aveva riempito l’androne di casa
bisogna arieggiare la stanza dopo la malattia
far scolare, fare brodo
di pesce
passarono i vecchi, nell’erba del poggio
una capra era esplosa
stazione pioggia
dicono sia la morte questo senso
di spossatezza
questa stazione zuppa
di mosche
si dorme quasi sempre
uno sull’altro,
sui corpi fiorisce l’edera di casa
- io lo so che verrete
madre
il nulla ci mangia nella mano
come fosse un cane
Francesco Maria Tipaldiè nato a Nocera Inferiore il 29/III/1986. Laureato in farmacia. Ha pubblicato “La culla” (Lietocolle 2006), “Humus” (Arcolaio 2008) e con Luca Minola “il sentimento dei vitelli” (EDB 2012) con il quale si è aggiudicato il premio Mauro Maconi sezione giovani nel 2013. “TRAUM” (Lietocolle 2014) è la sua ultima raccolta.