Con questo libro felicemente denso, dal titolo Naturario, uscito nella collana “Il gabbiere” per le Di Felice Edizioni di Martinsicuro (pp. 400, euro 15), Antonio Bux ha provato, con indubbio coraggio morale, a bruciare lo spazio, il tempo, andando contro al proprio stesso inconscio, organizzando un'architettura metafisica, applicando all'ipertrofia del reale grafico l'irrealtà dell'immaginazione e dell'esercizio poetico. Con impegno dunque totale, Bux si abbatte tra le macerie di un muro di cinta tanto vulnerabile, quanto indistruttibile, per poi tornare all'energia del quotidiano, e travasarla in versi.
Tutto questo lavoro significa, ovviamente, porsi dei problemi, e in modo talmente serio, da non poter non riconoscerne l’importanza, soprattutto la novità; penso che il suo lavoro poetico dovrebbe essere degno di un’attenzione superiore all’impegno critico rivolto a tanta poesia contemporanea. Perché queste poesie di Bux costruiscono la volontà appassionata di attraversare il proprio labirinto d'uomo, uscendone vivo, e forse migliore. Qui non si parla di cose lontane anni luce o incomprensibili ai più. Nessun giro a vuoto di parole ricercate per spazzare via l'incongruo che c'è in noi, ma vi scopriamo l’encomiabile sfrontatezza di offrirsi malato, malandato alla comprensione nostra e altrui, arricchendoci tutti di una possibile verità.
Mai come in questo libro ho creduto di capire il perché di un’azione così sovversiva ai limiti del masochismo, ma tanto lucida nel dimostrarsi poi, definitivamente e con rara forza etica, polvere.
Cristina Annino
Quindici poesie da “Naturario”
FINE D’INCIPIT
Ero piccolo e vedevo gli alberi
parlare alle persone
nessuno rispondeva ma c’era
un bambino, si illuminava
in mezzo ai cespugli
credo fosse armato di cielo
era molto distante
a un certo punto smise di far luce
nel buio calpestato ricordo
gli alberi
cominciarono a dirmi
TUTTE LE MORTI MENO UNA
Tutte le morti meno una sorridono
se dentro di ognuno la vera morte
arriva al sorriso più puro dell’anima
terrena che si lascia; ed è vero ciò
che lascia ed è falso, per questo sorride
con la smania lontana di chi se ne va
sorridente alla morte in un principio;
sarebbe troppo grande, ferirsi così
e poi con l’orgoglio chiuso altrove
dare un sorriso speciale ad ogni morto
che passa e salutarne la fine, venuta
a noi onestamente come un cielo
piovuto dormendo, o un volo
nella rondine dell’occhio la sua
oscura alleanza
I SORRISI ALLUDONO A SATANA
Troppi sorrisi lasciati a inventare
i sorrisi alludono a Satana
Dio e il mare non sorridono e una donna
se sorride è perché persa
nella bara perfetta della carne
ma la carne sceglie di vendicarsi
ci sono demoni a tutte le latitudini angosce
che vibrano tra i desideri
il meno che non vediamo eppure muove
nei cunicoli ed è morte
senza dominio il bacio
è morte che sa indovinare
allora domandare baciando il cielo
il cielo mitico, pre-atlantico, il potente
demone socio del creato
che sorride con gli angeli impiccati
domandare se lassù
tra gli spazi a noi arresi
e che mostra noi infiniti
non è che una spalla il suo universo
girata dappertutto
RITO DELLA PRIMA SPECIE
Tu, che non sai aspettare,
consacrati al rito della
prima specie. Tu che
bastonato da te stesso
non vedi il bastone
che ti compie. I cieli
non ti sono più devoti,
poiché niente arriva
al di sotto, sgranato,
aspettando l’insieme.
Prepara, allora, la tavola,
prendi l’acqua, e poi dividila
dal calice. E nella mano
contenuta piega il pane
contro l’aria. E chiedi
all’acqua e al pane
come si sentono, se sono
come l’aria. Chiedi loro
se possono diventare vino.
E porgi il calice vuoto
contro la mano. Sussurra
dentro il buio le poche
parole che ricordi. Queste
serviranno ai più poveri.
I più poveri sanno aspettare
SE TI GUARDANO LE LUCERTOLE
Se ti guardano le lucertole
vuol dire che sei morto
e se sei morto come una pietra
levigata dal dolce sonno
al sole non muori e stai lentamente,
lentamente ignifugo
infestato dai funghi dell’espressione,
ancora permesso
di stare a tuo agio tra le flore, tra i panorami
nella perfetta moltitudine, lasciato stordito
dietro lo schermo dei vermi
continueranno le tue ossa a vivere l’ombra
e le parole, che tu guardi e non sai
continueranno le solitudini del corpo, le striature
perché parlare il tuo muovere l’ostacolo
se camminando sai di tacere
VIVO TRA LE NEVI FOSSILI
Ricorda il ciarpame. Riconcilia
la tua carcassa in putrefazione.
Ti caveranno le esche fuori
dagli occhi. Le bave dei protetti
scalderanno i pianeti, ci saranno
superstiti fritti, idee come alveari.
Poi volando, ricorderai il non volare
e i tuoi minuscoli fori, respiri bianchi
appesi alle pareti, come fossero
degli amici fantasma. In quelle ore
ricorderai confusamente. Le crepe
viziate al ritmo dei muri. E come
vanità dell’ombra, a penna farsi
strada tra i bisturi della condanna
la tua colpa d’oro. Anima tra le acque,
fluttui che oserai rischiare. Tornando
poi nelle carni, vivo tra le nevi fossili
L’ERBA POCA CRESCE A NOTTE
Nel grembo d’avorio della notte
giocano ai quarzi due gemelli
con gli zigomi simili con le gambe
simili e gli occhi di due
che si sono; e tra i quarzi una donna
uguali li lega, uguali li tiene contro il seno
e contro l’utero li figlia, uguali li strofina
a due gocce di seme dentro l’uno, dentro
la sua testa, gemella dentro l’ovulo diverso
delle gambe, così cresce o muore
l’uomo di quarzo nella notte
Fili d’erba comunicano.
Giovani, e sono esseri
sfilano come loro via
il vento, o forse in sfida
con chi non sa. È tradire?
Per questo prosciugano,
se danno via il sale,
le resine ancora fresche
o il fiato degli occhi,
per il vuoto mancare,
per soffiare via eterni?
L’erba poca a notte ricresce.
I figli dei lampi sono soli.
La luna nei lembi trasforma
ogni tenebra umana
ricambia, di non vita
E VEDO IL GHIRO NELLO STRANO LETTO
Sogno sempre ad una certa
ora del tramonto qualcuno
che viene a sognarmi accanto
un sogno nuovo, di sempre.
Ripete la mia stessa domanda:
se è il tramonto che ci sogna
o forse il sogno del tramonto
cos’è che viene, ad una certa
ora per farci svegliare? Forse
solo qualcun altro, di lato,
che tramonta
E vedo il ghiro nello strano letto
dorme con me tra i denti addormentati
dorme e poi muore al mio risveglio
ed io sono ghiro, mi sogno alzare il cielo
e se torni da me lo strano letto cade
se tu ritorni io sono ghiro e tu non dormi
e scompari tra le fodere tu sogni i miei deserti
le foreste disabitate dove i ghiri mutano
in uomini ma se tu torni in me c’è un ghiro
bianco, un uomo di tessuti un invertebrato
nel tuo silenzio c’è un uomo che ti ama
e un ghiro alla lontana che odora del tuo bosco
API CHE NON ESISTONO
Volano api attorno incessantemente volano
anche a sera dentro il miele rimasto degli occhi
ma non sono api, non sono insetti né sono gialle
forse luci forse notti rimaste appese per sbaglio
dentro agli occhi veri o in un abbaglio precedente.
E mai che se ne acchiappi una, di ape maledetta
mai che si fermino gli occhi o la luce di questi
ronzii notturni a sciami di bestie che non esistono.
Ma volano intorno, volano azzurre volano mentre
l’io scriteriato un banco di nebbia adulta
TEORIA DEL LUPO INDIRETTO
C’è un lupo che ognuno cova
lontano da sé ma per davvero
tra i denti. In qualche luogo
più solo di dentro in un vago
momento si rizza di vita.
E non è paura, desiderio di fare
ma vista del bene mancato
ciò che dilania alla luna e che
nella luna manca guardando.
Cresce di lato, laggiù nel corpo
completo della fame: al vibrato
del male instancabile il ghigno.
E così d’ululato stimola e danza:
in un azzurro lontano il plenilunio
mormorato universale all’occhio
del comando umano innaturale.
Giostrare tutto allora di carne
senza il difetto o comando dal petto
ma in fitta di trame, il chiodo più lungo
che va di speranza, ficcato indiretto
IL SOLO AMORE ETERNO
La Madre Superiore è nei campi,
il dio del Perdono la coltiva. Cresce
nelle notti i suoi frutti, li cresce
per i figli spaventati. Ma negli astri
lontani e nelle viti, nei grani oscuri
per due uve di sogno altre madri
erose vedono uccelli. Come i voli
sognati bambini, come sugli antichi
precipizi dove gli angeli dormono
segreti quella semina. La semina
del nuovo giorno, nel sole dimentica
ogni madre e rompe dal nido. Il diavolo
celeste invece apre le mani, è la Madre
sotterrata, la mano che per noi smuove
il chicco disumano e la terra. E sarà
sera il pregare di una madre. Sarà
preghiera il suo morire, sarà l’ultima
sua rosa il solo amore eterno
INTERMEZZO
...e sarò io, in questo momento, tra dieci anni
o sarai tu, di nuovo a toccarmi i capelli, a dirmi
che le cose non sono più cose da tempo
che sono finite le ciocche dei versi
e che sarò ancora io
e sarò vecchio, o sarai tu nella testa
o forse un’illusione ripetere il mondo
più giovane o più presente, e sarò io
disteso oggi sul letto mentre accarezzo
una ciocca di me, dei miei capelli tra dieci anni...
QUANTO PIÙ DI BUIO FAI CORAGGIO E IL MARE
Quanto più di buio fai coraggio
e il mare, tu non puoi vederlo,
ma fagli coraggio e poi col buio
non più tuo forse tornerà più mare.
Quanto più di buio fai coraggio
e il mare, ora che l’ascolti e non è
mai stato tuo, ora che nell’eco
suo ti vedi, ora che diventi come il mare
quanto di più buio fallo e il tuo ricordo
senza il mare, forse è il tuo ritorno,
e come mai nessuno segui l’altra scia
ora che non vedi forse è lei che ti conduce
2.
Io non so se l’avorio supererà il bianco clandestino
della mia vita notturna non so se sarà daltonico
il vino o se la fantastica selva fiorirà dappertutto. E
tu non sai chiaramente la lotteria del capitato o del
fecondo dove combacia, se nella steppa
del materiale o se nell’imbuto del giorno. Come
non sappiamo il quadro dell’occhio quanti soli
frammenta al minuto, o se diventa tenebra
incinta. Ma io sogno di esser vivo se tu sogni
di esser meno. E se tu sogni di esser meno io vivo
del tuo sogno. Ma se nel sogno io rifiuto
il manto caprino, un volto esagonale si dilata. E se
non sogno più diamanti è per colpa del mestiere
che frantuma ogni promessa. Se tu non sogni
delle case o se non entri nei fantasmi allora è vano
il mio distacco. E se mia madre è stata un sogno,
una cicogna nera ora vola sul mio braccio e sulla
pelle. E se tua madre non è stata in grado di sognare
a cosa serve la preghiera che cosa stringe nella
pietra se non fa male la tua mano. Se la tua mente
non esplode quale miccia si commuove quale
fiamma cade invano ma gentile, quale ragno tappa i
buchi quale fonte cede i segni, quale mare attraversa
dentro. Se nella mano si conclude il sogno di una
vita è per forza d’ogni bene è per vincere la fame
di un povero caduto. Ma tu non puoi risolvere i nodi
se sei nodo, non puoi la spada se sei scudo, non puoi
girare vuoto il tuo divieto
DIO È IL SILENZIO
L’altro giorno ho scoperto
che Dio è il silenzio.
Come l’ho scoperto
ha parlato un’altra voce
di me, ed ero io
che zittivo.
Le piante presero a guardarmi
con la paura di essere
ascoltate. E così gli esseri
lucenti e il materiale terreno.
Parlavano capendo il mio
sguardo. L’ho scoperto
scrivendo più niente
Antonio Bux (Foggia, 1982), ha pubblicato vari libri, sia in italiano (tra i quali Trilogia dello zero, Un luogo neutrale, Kevlar) che in spagnolo (23 – fragmentos de alguien, El hombre comido). Traduce dallo spagnolo, occupandosi prevalentemente dell’opera di Leopoldo María Panero.