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Andrea Lorenzoni

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foto di Paola Mischiatti

Dalla crisi del neorealismo ad oggi, la poesia italiana non ha mai smesso di organizzare dei nuclei di militante sperimentalismo giocato soprattutto sul piano dei significanti e delle regole della comunicazione, facendo spesso tesoro delle coeve ricerche internazionali. Eppure, in gran parte dei nati negli anni ottanta (e in quelli degli anni settanta), sento inconsapevolezza o indifferenza o persino astio verso tutto ciò. Fanno eccezione per esempio Luca Rizzatello e Nicola Cavallaro, che hanno coraggiosamente fondato una casa editrice che punta sulla ricerca, sulla sperimentazione: la Prufrock spa. Uno dei suoi frutti migliori è parlo dentro di Andrea Lorenzoni, uscito nel 2012.  L'autore fa tesoro del protocostruttivismo di Lev Vigostky, quella sua parte di ricerca volta a dimostrare che linguaggio e pensiero interagiscono sino a cortocircuitare quando cercano di dare un senso univoco all'interiorità, quando insomma il soggetto si parla dentro per mettere ordine alla complessa struttura identitaria. Tentando di produrre tassonomie di senso nascono inevitabili aporie, resistenze d'ambiguità che chiedono di essere risolte. La poetica di Lorenzoni chiede perciò un lettore disposto a interagire con la costruzione del senso, lo vuole consapevole delle dinamiche profonde in cui il linguaggio e il pensiero interagiscono, un lettore capace di cogliere l'elemento emotivo nella più piccola particella semantica, di ricongiungere i punti, di particella in particella, per l'emersione di una più limpida affettività, e di farsi compartecipe di un'esperienza tutta interiore del poeta. Un'esperienza ancora in fieri, non ancora sintatticamente compiuta, ma non per questo asemantica.

Se le neoavanguardie praticavano la poesia difficile per ragioni di politica culturale (per proporre beni non vendibili e dunque dichiarare che la poesia non è merce – detto in un momento in cui il mercato cominciava a diventare globale e tutto veniva valutato secondo il principio economico delle equivalenze –; per denunciare la passività del lettore, ridotto a mero consumatore e ricettore del messaggio pubblicitario; per contrastare il linguaggio quale veicolo di valori funzionali al mantenimento dello società dei consumi e dell'ingiustizia; per destrutturare la natura fascista della grammatica, dove il soggetto piega alla proprie necessità di leadership le altre parti del discorso) per Lorenzoni, uomo del postideologismo, il neocapitalismo non è più, pasolinianamente, seconda tragica natura, bensì natura tout court; non nemico che si deve combattere, ma ambiente difficile in cui bisogna crescere, scavandosi uno spazio vivibile, un cordone privato parzialmente salvifico. E qui la parola ha un ruolo decisivo, nel suo anarchico procedere, nel suo scintillio metaforico eppure claudicante, nel suo deragliamento analogico che avviene dentro un monsieur tuttatesta, un uomo-linguaggio chiuso in un tempo compresso, praticamente fermo. L'immobilità che ne consegue impedisce a Lorenzoni di inserire nei testi una o più mappe che fungano da metalinguaggio, da decodificatore interno, utili a chiarire le regole del gioco al lettore, così da farlo entrare nel meccanismo labirintico in cui lo colloca l'autore. Entrare implica infatti due condizioni, qui assenti: spazio organizzato e movimento. Lo spazio, in parlo dentro, ha la dimensione dell'azione elementare o della stringa di senso (per es: "tenta la carezza", "mi piace dirlo, lo dico", "non posso sapere", "il plettro in cassa armonica") e il movimento chiede appunto il tempo della narrazione, del prima e del poi intrecciati in una logica riconoscibile. Se un limite esiste, in questo libro, è proprio questa rinuncia all'abitabilità, in nome forse della coerenza metodologica.

Aprirsi alla comunicazione non significa per forza omologare la scrittura o banalizzare, bensì credere che spazio e tempo siano praticabili e condivisibili in un'intimità aperta dalla lingua, in un'esperienza dove autore e lettore si riconoscano inadeguati eppure solidali nel mettersi in viaggio verso un orizzonte di senso possibile, la cui chiave non rimanga di proprietà del mittente (come capita spesso in queste poesie, per quanto lodevole sia la ricerca di originalità e certa la forza in taluni passaggi), bensì appartenga alla complessità del codice, a propria volta correlativo oggettivo della complessità umana.





da parlo dentro (Edizioni Prufrock spa, 2012)




la sigaretta fuma la cena
un coltello taglia la luna
cariche di paracetamolo
le navi alla fonda
il plettro in cassa armonica
e pozze di lago e di luce
nel mare di crespo
il fumo rapprende il muco
e scalda per l'inverno
sgruma il pensiero, fa spazio
sorbe il percorso, scroscia
la manica in avanti
la chiusa del tempo



*


da tè scevra con gli anziani
il tappeto da tavolo, assorbente
il bicchiere traballa il cane
non parla, magro defila i lontani
parenti, langue ma il gatto resta
il fiato fluisce nel trasparente
aliena la materia dell'arredo, totale



*



di bianco gratta via turca
bagna la sauna dell'impero
penso oggi condiziona
l'autovettura da viaggio
antizanzare il baldacchino
potere grande definisce
non sanno, credo, dur
la fede, evet il senso mistico
nel ponte si vive meglio
il grano arcuato, il pesce
d'aria secca piange l'islam
relax miglio, io lontano
dai vulcani gassosi, calcare
i finti dervisci dell'unesco
sfiancano un punto mistico
ri-catto, uguale: il rituale
terapico, la scienza profusa



*



duri avanti, spasmi
entro per un tempo
più lungo del solito
sin qui, rapinato
dall'umore di famiglia
che donna solleva
una sola se si può
accerchia il roghetto
della sigaretta, il caffè
sorbe il labbro in carne
al capezzolo o al niente
non posso sapere
un bolígrafo para
el caballero por favor




*



e sulla palpebra
i cerchietti di cobalto
strabiliano un ciclo di lune
onirico lacerto di storia, privo



*



donna occhi chiari linea turge
il labbro e solida riempie il volto
mi fonde la pressione, tradizione
la ragione di simbiosi potenziale
l'amore piano, le vesti le volano
suonabili, fregiata di scuola
da liutaio in vetrina per gioco
la pelle il desiderio che faccio
mentre ti accordo la sapienza
non conosco l'artigianato, ammiro
cerco la struttura, che sia degna




Andrea Lorenzoni è nato nel 1985 e vive a Bologna. Lavora come insegnante di sostegno nella Scuola Primaria, collabora alle pagine culturali di Caffè News online magazine e fa parte del gruppo di poesia Lo Spazio Esposto. È ilcantante e bassista del gruppo musicale Divanofobia. Parlo dentroè il suoprimo libro.

Andrea Lorenzoni: dichiarazione di poetica

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Lo faccio raramente, ma quando ho dei dubbi sulla poetica di qualcuno, lo contatto e gli pongo delle questioni per capire se mi sbaglio e per sentire sino a che punto è consapevole delle proprie scelte. Quanto segue, è la risposta che mi ha spedito Andrea. Credo meriti di essere pubblicata. Ciò rende ragione del suo lavoro, ma anche, credo, del mio.


La mia scelta di scrivere con una struttura sintattica praticamente inesistente – in realtà continuamente esistente, per il lettore che lo vuole, anche se spesso, non sempre, per frammenti sempre modificabili, a seconda del significato dato al significante di volta in volta - è dettata da molteplici ragioni, a livelli differenti. Una ragione estetica personale che vede in questo tipo di scrittura - in un certo senso “frammentata” - una cifra di ribellione e di novità rispetto a molte poetiche. Probabilmente in origine questa è una ragione quasi pulsionale, ma che ho deciso di seguire perché penso che permetta di aprire nuove strade e di intraprendere un proprio percorso di ricerca che può consentire di giungere ad esiti interessanti sotto vari aspetti, non ultimo quello di scrivere qualcosa di originale e di non “già letto”. In questo senso, il mio piacere estetico deriva anche probabilmente dalla mia vita famigliare passata e dal fatto che faccio l'insegnante di sostegno nella scuola primaria.

Già da questo atteggiamento penso si capisca che non è mai stato nelle mie intenzioni rifarmi in toto a qualche poeta o a qualche poetica specifica né tantomeno ho perseguito l'obiettivo di voler essere ricondotto dal lettore a qualcuno di questi (copiarli). L'idea che c'è alla base invece è quella di dare rappresentazione della ricerca personale che caratterizza la mia vita e quindi, inevitabilmente, di depositare sulla carta del libro tracce della mia biografia. Questo non per presunzione di saggezza o, peggio, per narcisismo patologico ma al fine di mettere sul tavolo del dibattito, o del dialogo, fra le persone che lo vogliano alcune idee che propongo, che sono sia pratico-esistenziali sia più strettamente artistico creative.

Ho fatto studi di pedagogia quindi quella è la mia formazione universitaria. Nella scrittura mi rifaccio liberamente alle argomentazioni che faceva Vygotskij in “Pensiero e linguaggio” quando spiega (o ipotizza) il legame fra il pensiero e il linguaggio appunto, e in particolare quando descrive il pensiero umano come caratterizzato da molteplici fenomeni economici (mentali) ed ellittici che possono creare delle ambiguità o dei veri e propri errori o misconcezioni (duplici legami sintattici, ambiguità semantiche) nella rappresentazione della propria realtà interiore o esteriore. Infatti Vygotskij collocava la scrittura (con sintassi...) all'apice delle forme di linguaggio umano, proprio perché essa costringe alla logicità della sintassi, ovvero, diciamo, alla massima chiarezza possibile della rappresentazione mentale “pratica”, direi. Per la poesia andrebbe fatto un discorso a parte. Quindi idealmente – come modello creativo formale – cerco di riprodurre nelle poesie alcuni andamenti del pensiero, con le loro economie e con le loro ellissi appunto. Questo, sempre idealmente, consente una scrittura più “intima” e “risonante” (nel lettore), diciamo, una scrittura da leggere in silenzio o da pronunciare fra sé e sé più che da leggere ad altri. Questo a livello di significati. A livello di musicalità invece è una scrittura che nasce anche come apprezzabile a livello orale nel caso venga recitata (essendo io anche musicista pop sono legato alla poesia lirica proprio nel senso etimologico greco “che si accompagna con la lira). Ciò non esclude né il fatto che ne possano essere trovati significati in un ascolto orale né il fatto che giochi un ruolo importante la musicalità durante una lettura in silenzio. Ovviamente che io parli di scrittura “intima” e “risonante” non significa che essa rappresenti dei miei flussi di coscienza estemporanei. Piuttosto sono poesie intime a livello di contenuti, per quel che mi riguarda. Sono poesie molto cesellate e costruite, come penso sia evidente. E la lettura privata, in silenzio, con il supporto da poter riprendere in mano all'occorrenza serve, io credo, per poter elaborare i molteplici caratteri di densità a cui alla fine ho portato la mia scrittura. Certamente c'è un flusso di parole in cui lascio spazio a ripetuti deragliamenti analogici, ciò però ancora una volta a riprodurre idealmente l'andamento del nostro pensiero, il quale, Freud alla mente, non è affatto lineare. In ultima analisi, penso che l'analogia sia senso, semantica. Allo stesso tempo voglio si recuperi il senso delle parole: non a caso, per recuperare l'attenzione del lettore, spesso distruggo le frasi fatte (“va a letto senza cena/timone”, “ascolto al giorno laico/santo giorno”...) Alla base di questo “dispositivo semiotico” - così l'ha definito Francesco Carbognin – c'è comunque una sorta di divertimento, di piacere intellettuale mio, il quale tiene gran conto del valore del gioco, anche intellettuale appunto. Ancora i miei studi universitari fanno capolino.
A proposito della tua seconda domanda ti rispondo che ti sbagli a pensare che sia un testo della neoavanguardia perché non ne ha le caratteristiche principali e perché nel testo non c'è solo la neoavanguardia. Innanzitutto non ho avversioni pregiudiziali verso il neo capitalismo, piuttosto un tenace spirito critico sulle cose all'insegna, per quanto possibile, dell'onestà intellettuale. Poi non c'è disprezzo per l'intimismo malinconico e penso che questo si noti leggendo versi come “se c'è una verità umana / altrimenti sono così come adesso” (p.20), “io e te spariamo / ci evitiamo nel tempo / fossimo un pendolo / insieme”(p.28), “controluce trasparente / bluastra, dice, astro / di amore il cielo e il mare / esplorati non del tutto” (p.29), “quando sentirò / il riflesso del / dico, amore” (p. 35), “non capiamo il taciuto / dorme nell'acqua” (p.40). Credo che veda bene Luca Rizzatello – in qualità di editore – quando nella nota di presentazione del libro rileva la presenza al suo interno di una “sensualità lirica”. Infatti confermo che c'è tantissimo sentimento soggettivo dell'autore. Aggiungo un altro esempio: “tenta la carezza da re / a te la quiete espansa / ascolto al giorno laico / con te il piano terra / ti soffro piccino dai tetti” (p.15). Certo, come scrive Luca, cerco di mantenere “la giusta distanza dal lettore” ma non ho avversione verso la poesia lirica né la censuro nello scrivere.

Né tanto meno mi riconosco, se questo può essere pensato, nella poetica della “non significanza”. Tutt'altro. Sebbene filtrata dalla deformazione testuale che si percepisce in superficie in un primo momento la componente comunicativa c'è. Si comunicano pensiero, asserzioni, stati di coscienza quasi a costruire una “poesia dell'essere”, ossia del corpo e della mente insieme (intesi non in un senso orfico ma nel senso di Leib husserliano). Quando scrivo “desidera, schiocchi cellulosa / che TV irretisce e capisci / solo se per due anni non guardi / ma dialoga” (p.7) sto asserendo in maniera decisa, sto esortando a desiderare e a dialogare per perseguire i propri desideri evitando di farsi irretire dalla televisione di cui ti rendi conto dell'effetto sulla tua coscienza solo se smetti di guardarla per due anni. Quando scrivo la poesia “il sangue deflagra la pelle” (p. 10) descrivo un coito in cui interviene l'irrazionale desiderio materno. Potrei continuare così per ogni poesia e sarebbe interessante, tra l'altro, notare i vari slittamenti semantici, sovrapposizioni fra campi semantici, assonanze mentali: cellulosa-celluloide-fiction-tv, girino-prole-arca di Noè-barca-timone. I titoli stessi delle sezioni sono intesi in senso fortemente pedagogico: tranne “ioni di eros”, che comunque vuole descrivere delle dinamiche d'amore specifiche, “conoscenza”, “integrazione”, “dinamo”, “bibliografia” sono tutte parole che sottendono delle esortazioni: a conoscere, a integrare – la propria identità, le etnie, i punti di vista – a muoversi con la mente e con il corpo per produrre energia positiva – luce – a leggere libri.

Se invece vediamo note neo avanguardistiche nel piacere per il gioco in senso lato, come intendevo più sopra, o per il gioco di parole probabilmente queste ci sono. Però è un gioco piacevole e faticosissimo allo stesso tempo. Intendo dire che non è gioco frivolo ma è gioco inteso con significato profondo evolutivo, un gioco che può essere trovato in ogni “lavoro” degno di essere definito tale. Un gioco complesso nella scrittura perché deve tenere insieme il divertimento linguistico con la volontà comunicativa, la cifra lirica e il ritmo.

Detto questo non rifiuto un possibile accostamento della mia scrittura alle neoavanguardie a patto che questo sia fatto in maniera puntuale su loro specifici aspetti. Quello che voglio dire è che mi sento libero di poter recuperare potenzialità da qualsiasi corrente letteraria del passato fosse anche per amore verso qualche caratteristica stilistica specifica. In questo non vedo niente di male. L'importante è che questo recupero sia fatto in maniera funzionale al mio spirito critico, di cui dicevo, sul mondo, e al mio desiderio di originalità creativa. D'altronde credo che sia “integrazione” la parola chiave per una scrittura contemporanea. Non a caso è anche il titolo di una sezione del libro. Forse il fatto che io sia nato da madre bolognese e padre pakistano mi aiuta o mi spinge in questa direzione. Come vedi ancora una volta torna la mia biografia.

Non ho riflettuto a sufficienza su questo tema ma ho come l'impressione che la necessità di collocare ogni scrittura in una corrente letteraria specifica oltre che deleterio per il poeta possa essere nocivo anche per la critica. Trovo le partizioni letterarie spesso semplicistiche, fuorvianti, riduttive. Ho come l'idea che valga più la pena di occuparsi della scrittura di un singolo autore nel suo manifestarsi nel tempo e tenendo conto della sua storia (considerando anche gli aspetti psicologici, di desideri o di volontà personali dell'autore) più che occuparsi di dove collocare l'autore nella gamma di correnti letterarie. Con questo non voglio insinuare che tu lo stia facendo, la tua domanda si riferisce al testo e non all'autore, anche perché è il mio primo libro. Questa argomentazione mi serve solo a comunicarti meglio la mia distanza dalla volontà di appartenere come autore ad un genere o ad una corrente come la neoavanguardia. Se il testo risulta neo avanguardistico ciò è avvenuto in maniera inconsapevole e ne prendo atto per il futuro. Stando però alle argomentazione e agli esempi che ho fatto più sopra questo mi sembra riduttivo. 
[...]
Dunque la molteplice ascrivibilità della mia parola mi sembra che sia notata anche da persone che non sono io; non mi sembra calzante un semplice accostamento alle neo avanguardie. Credo che proprio per il fatto che il mio testo possa risultare faticoso, chiuso, strano, enigmatico, disturbante, esso non sia ascrivibile a qualcosa di già codificato, di scontato o di già letto. D'altronde tinte razionali, tinte di denuncia, tinte orfiche, tinte sperimentali, tinte liriche, tinte ermetiche, sono tutte sfumature proprie dell'esistenza umana e di ciascuno di noi. Credo che la cosa interessante sia come l'autore riesce a mettere insieme questi elementi in maniera originale o personale. Credo che questo sia il tema di una scrittura contemporanea, come dicevo anche più sopra.

Ho in mente un lettore qualsiasi che conosca l'italiano, non importa a che livello, un lettore qualsiasi, non importa di che estrazione sociale. Ovviamente qui si aprirebbe però un ampio capitolo sulla “visibilità” e reperibilità dei libri da parte di tutti e quindi anche sul rapporto autore/editore in poesia. Riconosco che nel libro richiedo un grande sforzo al lettore ma ciò è anche una possibile forma di rispetto nei suoi confronti, dal mio punto di vista. Oltre al fatto che credo sia importante in questo momento storico mettere il lettore nella condizione di dover pensare, agire, scegliere, diventare artefice di se stesso e del mondo che lo circonda, di essere felice insomma. Ciò richiede meravigliosi sforzi e fatiche. Forse potrei dire che il mio obiettivo trascendentale è quello di un popolo che sia/diventi elite e di una elite che sia/diventi popolo.

Penso che creare in poesia una comunicazione sintattica non stereotipata sia possibile, questo giocando sulle altre variabili disponibili come il contenuto/narrazione, il messaggio della comunicazione, il ritmo, la musicalità... Il fatto stesso che sia una persona nuova a scrivere un nuovo testo aumenta le possibilità di distacco dallo stereotipo. Ancora una volta è importante la persona, cioè l'autore con la sua storia e con l'articolazione del suo pensiero sulle cose del mondo. Anche con la presenza di struttura sintattica le altre variabili credo siano sufficienti a dar luogo a pressoché infinite possibilità originali di scrittura. L'originalità poi oggi può essere raggiunta anche attraverso l'integrazione di altre arti e di altre tecniche (tecnologie).

 Il mio cognome è quello di mia madre. Diciamo che ufficialmente non sono stato “riconosciuto” da mio padre. Mio padre, sin ora, l'ho incontrato una sola volta quando avevo 15/16 anni, anche se ogni tanto ci sentiamo per telefono. Parla un buon italiano, io non parlo la sua lingua di origine. (...) Devo ancora recuperare in maniera sufficiente quella parte di me... Ma lo farò quanto prima.
Grazie a te, di cuore,
A.


Sofia e Paola

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Ad aprire Le volpi gridano in giardino c'è la poesia dal titolo "Alla tua quiete salda come il pane". E' la poesia più personale della raccolta, la più intima. Nella seconda strofa, nomino due persone, Sofia e Paola: "[comincio] dalle donne, in cui mai cercai casa né prato / ma sprofondo e grido / e nulla compagnia che avesse torto in mezzo / dalle donne andate per monossido o corda fissa / come Sofia e Paola..."

Le conobbi nel 1980. Tutti e tre eravamo impegnati nell'OMG e a organizzare mostre e manifestazioni sulla cultura pacifista e antinucleare. Con Sofia facevo anche grandi camminate in montagna; con Paola bei viaggi in autostop.

Le mie nuove poesie inedite parlano di loro e di altri amici morti prematuramente.
Pubblico le due dedicate a loro, una delle quali, seconda classificata al premio Daniela Cairoli, ha un commento di Anila Resuli





Paola (1962 – 1987)



La trave
dove ti sei fermata è smessa
come la foto fatta a Fronzola
nell'ottanta. Lo devo dire a Livia
che sei da qualche parte; nel mio
ippocampo, almeno, e nella lettera scritta
prima di saltare: "Non sono triste, sai
ma vuota."





Sofia (1962 – 1992)



Non ti ho restituito il disco
di Chet Baker. Volevo, giuro, volevo
ma non ho potuto: sei uscita d'improvviso
con un sorso di carbonio e del vapore
sul vetro.

Io lascio i finestrini bassi, da allora,
se tira vento. Al resto ci pensa Lia
che è viva perché d'altra specie e poi
crede in dio, nella sua pancia di femmina

di dio, dico, che ha cioccolata per tutti
e aria pulita e musica.




La poesia Sofia(1992 – 1992) di Stefano Guglielmin intreccia presente e passato con immagini nitide e semplici, quanto complesse nel loro presentarsi come fotogrammi di più scene e più stati d'animo. Ai primi versi infatti il poeta si scusa, mostrando del senso di colpa con i versi "volevo, giuro, volevo": cerca quindi di togliersi dalla coscienza un peso rimasto dentro, tanto a lungo, nato tanto all'improvviso dalla scomparsa della persona a cui è riferita la poesia, Sofia appunto. Lascia sulla carta anche l'immagine della scomparsa, il modo: "un sorso di carbonio e del vapore sul vetro". Un'immagine a cui il poeta sembra voler fuggire lasciando "i finestrini bassi se tira vento". Entra qui in scena una seconda persona, Lia, a cui il poeta sembra molto legato, che definisce addirittura "d'altra specie". Lia qui è viva ma quasi non sembra umana nella descrizione perché "d'altra specie" appunto, seppur possegga un sentimento umano "crede in dio, nella sua pancia di femmina". Nell'immagine di dio però il poeta entra anche in prima persona "dice" la sua "che ha cioccolata per tutti / e aria pulita e musica." Pare un linguaggio semplice quello di Guglielmin, ma non manca di forza la sua poesia. La figura del poeta, centrale tra le due donne, sembra voler scandire passato e presente, senza nulla dimenticare e tralasciare, come se questi coesistessero per necessità propria del poeta, della vita stessa. (Anila Resuli)




Francesca Matteoni

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Ci sono differenti motivi per cui sono affezionato a Francesca Matteoni, pur avendola incrociata soltanto una volta, in un convegno 5 o  6 anni fa, in provincia di Bologna. Forse il tema era la poesia performativa, ma non ne sono sicuro. Ciò che mi colpì fu l'intelligenza e la modestia di questa donna, che vive in Inghilterra da un sacco di tempo, lontano dal chiacchiericcio mondano che imperversa in rete a proposito della poesia vero e poesia falsa. Di lei mi piace anche l'artica solitudine, che diventa postura etica e slancio per la scrittura. In questo mi riconosco, anche se facciamo vite completamente differenti. Un'altra ragione o contiguità che ci accomuna la si trova in Appunti dal parco (Vydia editore, 2012), riedizione "riveduta e ampliata" della plaquette uscita nel 2008 presso le edizioni Nizarts e della quale avevo parlato qui.
Nel paragrafo Animali magici, di questo libro che fa incontrare la prosa e la poesia senza mai confonderle, parla delle volpi, vere e immaginarie, quelle che vedi a Londra e quella raccontata da Ted Hughes, Cold, delicately as the dark snow / A fox's nose touches twig, leaf, il cui odore d'improvviso entra in the dark hole of the head. Scrive Matteoni: "L'animale è la poesia, la poesia ha una forma tangibile e soprattutto un odore". E quell'odore la porta all'adolescenza, in auto con suo padre nella montagna pistoiese. Anche lì, la neve e l'apparire repentino della volpe. E ancora il parco londinese di Saint James o al Battersea dove la volpe appare e scompare con rapidità, come l'ispirazione o il selvatico che ci abita.

Recentemente ho fatto una lettura a Verona, alla libreria bocù di Alessandro Assiri. Un poeta che non conoscevo, Alberto Toniolo, gli aveva dato un libro da consegnarmi, scritto da lui, che s'intitola Elogio della volpe e altri scritti (Campanotto, 2001). Il primo capitolo, Elogio della volpe e delle sue malefatte, parla della volpe come uno fra gli animali più intelligenti, riconosciuto da tutte le tradizioni laiche (Plutarco e Omero per esempio), mentre il cristianesimo e i bestiari medioevali gli attribuiscono i peggiori appetiti e la capacità di ingannare (vedi San Giovanni della Croce e Dante Alighieri). Toniolo ci dice che la volpe, nelle tradizioni più remote, "presiede, proteiforme, al rapporto fra natura e cultura" ed è l'unico animale – aggiunge, riferendosi alla tradizione cinese – capace di trasformarsi in donna: "Attraverso i muri, che l'inflessibile tradizione confuciana ha edificato attorno alle donne per materializzare il possesso e il controllo, attraverso lo spazio chiuso imposto alla donna della casa passa, cauto e libero, lo spirito-volpe, la volpe-donna che sa varcare la soglia proibita e aprire la strada". Francesca Matteoni è proprio così: uno spirito libero, che assomiglia alla volpe anche nei tratti somatici: per questo la cerca, la sente sorella, imprendibile. Di più: cerca di se stessa l'imprendibilità propria alla volpe, quel femmineo che incontra natura e ragione, così tanto temuto nella nostra società maschilista.

C'è un'altra ragione per cui ho scelto di parlare di Francesca e del suo libro: Appunti dal parcoè corredato da bellissime fotografie di Cristina Babino, anche lei amica ed essere vagantivo, anche lei poeta originalissima e donna intelligente, che non ho mai incontrato, ma che non manca su Blanc.

Infine, l'occasione meno importante, ma che occorre segnalare, è che Appunti dal parcoè finalista al "Premio Città di Legnano .- Giuseppe Tirinnanzi 2013", assieme a Corrado Benigni e Maria Grazia Calandrone. Il vincitore/la vincitrice lo deciderà una giuria popolare il 19 ottobre. Intanto gustiamoci le poesie.



da Appunti dal parco (Vydia Editore)


GIORNO DI VENTO

L’uragano aveva spezzato i rami
e un grosso cavo elettrico sospeso
sulla linea ferroviaria, nel nord.

Dovemmo lasciare il treno a Totteridge.
Gli occhi un filtro di reticolati.

Respiravo nel cappuccio le raffiche
e solida, come fatta di mani
la corrente mi tirava gli abiti
spingeva. Dov’erano le persone?
Tratti invisibili, vocalici
dentro il rombo ellittico dell’aria. 

Il vento asciugava il paesaggio –
staccava netto blocchi di vapore
premendoli sui muri, sul fogliame.

Gli animali arboricoli nei tronchi
come in gusci di ghianda e di nocciole.



L’AIRONE CINERINO
(vita segreta dei giardini)

Hyde Park, fine d’ottobre – 

la pioggia circonda le persone
un margine curvo, propagato
dal bagliore dei cigni sulla Serpentina.

Le folaghe e le oche si spingono
su molliche di pane galleggianti.
Un corvo intruglia la carcassa sfatta
di un piccione, il ricamo scarlatto
aggrovigliato al becco. Se ne stacca
distratto al mio passaggio. 
Un cestino di ferri, lana, spilli -
le matasse disgiunte all’apertura.

Sotto il ponte iniziano i giardini.

La vegetazione lacustre scava
nell’argine recinti naturali
d’alberi, terriccio, cespugli, giunchi.

Lo scoiattolo percorre i tronchi,
scorteccia frenetico al midollo,
la gazza si affaccia dalla ringhiera.

Sul fondo l’airone grigio osserva –
il salice cascante lo nasconde.
Le pupille laterali, inespressive
come insetti dentro biglie d’ambra,
gli arti lunghi, cauti sopra l’erba
la giuntura flessibile del collo.
Il rostro impercettibile si affila -
un bisturi dell’aria sulle rane.

Dall’entrata la notte procede
oltre il flauto di bronzo del bambino.
“Non è lui – mi ripeto – non può essere”.
Dove il ghigno d’elfo, la tristezza?
L’ombra, gli sterpi di taglio nel corpo?

Sul cerchio dei lampioni, la foschia 
viola come un tessuto muscolare.

L’odore d’acqua penetra i vestiti
dalle foglie stampate nelle suole.


Hyde Park/Kensington Gardens, 28 ottobre 2007)



IL VECCHIO CASSETTONE

Avevo questo vecchio cassettone
sul fondo della stanza, oltre il tappeto -
le venature oblunghe come lumi
nel legno rossastro del ciliegio.

L’interno era stipato di matite
l’astuccio disastrato dei pastelli.
Il Rosso Carminio, il Blu Oltremare.

La coccinella a molla, la matrioska
sbirciavano l’atlante sul ripiano

- le mani di grafite, di verde
di pianure, le coste giallo-azzurre
le depressioni carsiche, lunari.

Nella parete opposta, sull’armadio
i grandi animali antichi di pezza
costruivano il nido per il sonno.

Per prenderli scalavo una montagna
di tavolo, di sedie e polpa d’aria
una neve di trucioli sull’orlo.

Ecco il mondo - il nord e il sud del cielo.
Dal soffitto schiarito lo scoiattolo
spiccava il suo balzo immaginario.





Come per me, cugina volpe, / ovunque nel suo percorso si volga/ trova luoghi adatti a morire./ (Cerca luoghi mortali), avrei potuto pensare, con le parole di Paolo Volponi(un altro poeta, che aveva nel nome la parentela con l’animale), cercando di seguirla in un paesaggio in dissolvenza, un’emulsione del suo corpo, così estraneo e presente. La bellezza della volpe era nella sua fragilità, nelle sue necessità elementari, il modo in cui si piegava all’ambiente senza uscirne abbrutita, portando con sé un sentimento di uguaglianza oltre l’umano.
Non sappiamo parlare di noi stessi senza abbellimenti, senza il retrogusto della grandezza per ogni gesto. E le vite dobbiamo conquistarle, renderle innocue, così solo esse ci consolano – non sopportiamo la loro libertà, che non sia utilizzabile per i nostri scopi, che anzi diventi uno specchio della nostra stessa radicale mancanza di un fine altro, superiore. Eppure nell’animale potremmo riconoscere un compagno che ci rammenti cosa significa esistere, uno spirito fraterno di distanza e di rispetto.


*****

Di notte la volpe ritorna. Corre sul marciapiede dissestato di Brailsford Road, illuminato da un unico lampione. Ne scorgo appena la coda, le zampe posteriori, le orecchie acute del muso, ma anche così è bellissima, poco prima della curva, verso l’entrata del parco. È a caccia. Striscia sul ventre per farsi invisibile nell’erba della collina, tra le radici venose, rigonfie, quasi braccia in emersione. Sul portone di casa mi fermo euforica,  cercando di vedere con la mente i piccoli animali chiusi nelle siepi, gli anatroccoli che spero vicini ai genitori, sotto le ali grigie e nere delle oche ai bordi dell’acqua. Il sonno degli animali è vigile. Come sarà cambiato domani il loro mondo? Sarà ancora viva la volpe, scampata ai fari, allo stridere delle auto?  Sarà sazia e ben nascosta? Sotto gli assi di un capanno per gli attrezzi? In un buco dietro il supermercato? In un vecchio platano, in un mucchio di foglie? Lei non sa niente di me. Mi sfugge sempre ad ogni incontro. Sparisce dove io non posso andare.


Eventi prossimi venturi

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domenica 30 giugno, ore 20,30 a Bocchetta Paù, il Rifugio Bar Alpino organizza la lettura poetica di Stefano Guglielmin con il fisarmonicista Beppe Castagna



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Notturni di versi - piccolo festival della poesia e delle arti notturne,organizzato dall’Associazione Culturale Porto dei Benandanti con il sostegno della Cooperativa Sociale Itaca di Pordenone, RetEventi della Provincia di Venezia e i comuni di Portogruaro,

dal 29 giugno al 24 luglio a Portogruaro, Fossalta di Portogruaro, Concordia Sagittaria e Teglio Veneto.
 

29 giugno alle 18, nella sala Consiliare del Comune di Portogruaro con la presentazione del libro, a cura di Marinella Chirico, «Io credo. Dialogo tra un'atea e un prete» (nuovadimensione editore), alla presenza degli autori, don Pierluigi Di Piazza, introdotto da Fabio Della Pietra.  

Mercoledì 3 luglio alle 21, presso lo Studio Arkema di Portogruaro, sarà inaugurata la personale di Guerrino Dirindin, artista nato da una famiglia di navigatori che dalla notte dei tempi solcava i grandi mari e dalla Serenissima ha risalito i fiumi del Nord-est”, che è “cieco e sordo e va d’istinto”. Seguirà il primo di molti incontri con autori, che avrà come protagonista il poeta e docente Stefano Guglielmin (presenta Francesco Tomada).

Venerdì 5 luglio, alle 19.30, al Museo Nazionale Concordiese sarà inaugurata l’esposizione dedicata ai libri d’artista Libri di_versi 5”, in cui poeti e artisti espongono libri oggetto A seguire un buffet con degustazione dei vini della Tenuta Mazzolada ealle 21, il reading sull’acqua a cura dei poeti partecipanti all’esposizione, con musiche a cura di Max Bazzana.

Sabato 6 luglio alle 21 ci si sposterà a Teglio Veneto, nella Villa Dell'Anna-Brezzi, per un reading a sei voci che concluderà il concorso “Teglio poesia” e avrà come protagonisti i tre poeti vincitori (Giulia Rusconi, Dina Basso Giacomo Sandron) affiancati a tre poeti membri della giuria del concorso (Gianmario Villalta, Fabio Franzin, Francesco Tomada). Seguiranno i NUTRI_MENTI offerti dal comune di Teglio Veneto.

Mercoledì 10 luglio alle 21, alla Libreria LAB di Portogruaro, ci sarà l’incontro di Fuochi sull'acqua (rassegna milanese di poesia) con il poeta Alberto Cellotto (1978), autore di Vicine scadenze (Zona, 2004, vincitore del premio APS di Pordenonelegge nel 2004), Grave (Zona, 2008) e Pertiche (La Vita Felice, 2012).

Spazio al teatro invece venerdì 12 luglio alle 21.30, nel Cortino del Castello di Fratta di Fossalta di Portogruaro, con il one-woman-show di Serena Di Blasio dal titolo «Scarica di nubi mitraglia poetica per corpi da raccontare».

Si chiama Ritmi e confronti, un reading con musiche, l’appuntamento di sabato 13 luglio alle 21, presso la piazza del Battistero di Concordia Sagittaria, che vedrà i poeti Marco Pauletto, Luigina Lorenzini, Stefano Moratto e Andrea Longega impegnati in letture sulle basi offerte dal percussionista Stefano Andreutti. L’evento è la tappa veneta del Festival Internazionale di Poesia itinerante Acque di Acqua, a cura dell'Associazione Culturale Cultura Globale di Cormons (GO).

E ancora incontri con poetesse e poeti in programma per mercoledì 17 luglio alle 21, presso la Libreria LAB di Portogruaro, con Mary Barbara Tolusso, e venerdì 19 luglio, alle 21, in Piazza della Pescheria, con Fabio Franzin e Francesco Targhetta, che moderati da Matteo Fantuzzi discuteranno di “Crisi a Nordest”.

Notturni di versi proporrà anche la formula della Slam Poetry, con POPS 2 (POrto Poetry Slam), che sabato 20 luglio alle 21 vedrà sul palco di Piazzetta della Pescheria nove poeti che si sfideranno a colpi di rime e ritmi sotto la direzione degli MCs Giacomo Sandron e  Renzo Cevro Vukovic.

Chiuderà la rassegna, mercoledì 24 luglio alle 21, al Museo Nazionale Concordiese, un reading con musiche dal titolo “Lessico elettronico”, con la voce di Antonella Bukovaz accompagnata dall’elettronica di Massimo Croce.
Completerà il quadro il laboratorio “Libri di versi”, rivolto agli adulti e tenuto da Silvia Lepore presso il Museo Nazionale Concordiese domenica 21 luglio dalle 10 alle 12. La partecipazione è gratuita (max 15 partecipanti, info: silvia.lepore@libero.it - 3493808384).


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 L'Angolo della Poesia: Aforismi o Dell' Attenzione,
Pesaro, Cortile Giardino di Palazzo Ricci,  6 incontri su
 EDOARDO SANGUINETI, CRISTINA CAMPO, TONINO GUERRA,
 DAVID MARIA TUROLDO, DARIO BELLEZZA , LUIGI DI RUSCIO
ogni giovedì dal 4 luglio al 8 agosto 2013

 Giuseppe Saponara, regista e autore televisivo,  consulente video e di cinema per la Regione Marche, pesarese di adozione, dopo anni di straordinario impegno sui temi dell’arte e della poesia, ritorna  con il suo progetto,

4 luglio -Edoardo Sanguineti, poeta dell'avanguardia, esponente di punta del Gruppo '63, protagonista del dibattito culturale italiano del Novecento, diceva di sé: “ Io  sono il poeta più patetico del Novecento, nel senso che il mio è un pathos del corpo", un’ironia con cui si impegnava in prima persona in battaglie e polemiche politiche per  demolire e innovare il  confronto culturale italiano.

11 luglio -  Cristina Campo, nata a Bologna nel 1923 e poi trasferitasi a Roma alla metà degli anni '50  ebbe importanti  contatti per la sua formazione poetica  con Simone Weil, Mario Luzi, Elémire Zolla.
La formazione  artistica di Cristina Campo si è realizzata in uno dei periodi in cui la cultura era attraversata dalle grandi tensioni politiche e la sua poesia, per questo, guardò da una parte all'impegno sociale e dall'altra agli sperimentalismi e alle neo-avanguardie .

18 luglio- Tonino Guerra è stato tante cose insieme: scrittore in lingua e  in dialetto, sceneggiatore, un artista totale come pochi sia del secondo Novecento italiano sia di questo scorcio del terzo millennio. Un importante riconoscimento  a un  personaggio poco "compreso" dal grande pubblico e forse sottovalutato perché “indisciplinato”viene ora giustamente proposto nell’Angolo della Poesia.

25 luglio - Davide Maria Turoldo, un sacerdote impegnato prima nella Resistenza, testimoniò la sua scelta dell'umano contro il disumano, affermando «La realizzazione della propria personalità: questo è il solo scopo della vita». La sua fede e la sua militanza durarono tutta la vita, interpretando il comando evangelico "essere nel mondo senza essere del mondo” Diventò  noto al pubblico della poesia con due raccolte di liriche "Io non ho mani" (che gli valse il Premio letterario Saint Vincent) e "Gli occhi miei lo vedranno".

1 agosto -Dario Bellezza è un nome su cui puntare", scriveva Pasolini,  "un corpo-sentina" di ogni degradato dolore, una testa carica d'ogni esperienza letteraria". Dario Bellezza è vissuto nell’atmosfera politico-culturale che vedeva da un lato la della contestazione degli anni sessanta e dall'altro la linea eversiva della neoavanguardia che portava avanti con aggressività la sua battaglia contro i codici linguistici convenzionali.

8 agosto -Luigi Di Ruscio, poeta marchigiano, nasce a Fermo nel 1930, dopo l’esordio poetico nel 1953 con" Non possiamo abituarci a morire", presentato da Franco Fortini, si stabilisce ad Oslo dove per trentasette anni è operaio metallurgico. Un poeta capace di portare nella profondità del proprio animo: la marginalità, il lavoro in fabbrica, l’orizzonte politico della condizione umana che si era aperto nel dopoguerra. La sua voce poetica, il ritmo e il tono inimitabile della sua pronuncia, è stata  una assoluta singolarità, nel panorama della poesia italiana del secondo Novecento.



Marco Furia su Antonio Prete

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Vivide meditazioni

La poesia è un mondo che è anche la maniera di costruire quello stesso mondo: ecco un virtuale (non breve) sottotitolo di Meditazioni sul poetico, complesso e affascinante libro di Antonio Prete.
L’universo dei poeti esiste perché i poeti esistono: non è banale dirlo.
I versi, in genere, concedono molto e poco alla descrizione.
Molto, perché la loro creatività consiste in un esprimere per via di parola, poco, perché il loro rivolgersi a un oggettoè del tutto originale.
Faccio un esempio.
Descrivere un sentimento è arduo e pure, in apparenza, facile: l’interiorità umana è ricca di molteplici tratti intrecciati, ciononostante si trovano nel linguaggio, senza difficoltà, vocaboli che si riferiscono a sensazioni, emozioni, eccetera.
Il poeta, per Prete, sta come nel mezzo: adopera le parole essendo ben consapevole della magmatica complessità dell’esistere.
Non rifiuta la logica, la supera; non usa uno strano e incerto idioma, è preciso fino all’intransigenza.
Leggo a pagina 84:
“La parola nostalgia comincia a sfumare dall’ordine clinico all’ordine di un sentire che, se è ancora turbato, ha tuttavia elementi di affettiva, e talvolta dolce, rammemorazione. La nostalgia da malattia diventa sentimento”.
Le parole sfumano e, modificandosi, rappresentano e sono la nostra vita.
Il poeta, più che al rappresentare, punta all’essere e, anche se talvolta sembra schivo, non si dimentica mai degli altri, al contrario, partecipa con intensità a un esistere che avverte quale tendenzialmente coincidente con una lingua multiforme, aperta.
Leggo a pagina 133:
“Allontanandomi nel viale, tra le piante, il libro tra le mani: come lo straniero. Come lo straniero che non sa ancora quanto irrevocabile sia l’addio appena consumato”.
Non pochi pensano che gli uomini siano sempre un po’ forestieri sul pianeta Terra:
il nostro autore, però, si riferisce a ben altro.
Ogni addio è irrevocabile come ogni gesto, poiché lo scorrere del tempo rende unici tutti gli istanti.
Ma “lo straniero” non lo “sa ancora”: tuttavia quando scrive (e quando il lettore legge), lo sa.
Una mancata conoscenza e il suo contrario si riflettono reciprocamente in poche righe.
Affiora un’ambivalenza che non affonda le sue radici in un cortocircuito logico (la forma è piana e comprensibile), bensì in una vivida modulazione della scrittura come della vita.
Leggo a pagina 138:
“Il “luogo” che si cerca ha rifrazioni infinite, sta innanzitutto dentro di noi e ha il ritmo del ricordo, o anche del sogno”.
Siffatte “rifrazioni infinite”, come, in genere, tutti i riverberi, sembrerebbero a prima vista incapaci, da sole, di definire uno spazio, nondimeno, se abbiamo abbandonato certi rigidi e impoverenti canoni, scopriamo che è proprio così e che “innanzitutto”, l’umana interiorità non è priva di luminosa ampiezza.
Il “luogo” è anche “ritmo del ricordo” e “del sogno”: occorre riconoscersi appieno in tutti i propri aspetti per comprendere davvero la natura dell’esistere.
La poesia, dicevo all’inizio, è un mondo che è anche la maniera di costruire quello stesso mondo e, aggiungerei, consiste in un’invenzioneche è un vedere meglio quello che c’è già, in un soffermarsi con affettuosa e creativa consapevolezza sugli attimi persistenti e infiniti di cui si compone la vita.
Le “Meditazioni” di Antonio Prete, per via del loro pregnante soffermarsi su temi generali e specifici, su singoli poeti e su numerose opere, per via della loro partecipe complessità capace di sciogliersi in intensa empatia, mostrano, in maniera chiara, una volta di più, che la poesia è anche una forma di vivida conoscenza.

                                                                                               Marco Furia


da Antonio Prete, Meditazioni sul poetico (Moretti & Vitali, 2013, pp. 187, euro 16,00)


Un tappeto per il passaggio dell’ombra verso il volto, dello straniero verso il tu. Risonanza nel silenzio dell’io, di una voce che mostra l’invisibile che unisce l’io e il tu, il vivente che è riverbero di confini, trasognata appartenenza all’impossibile.



Nell’espressione “lingua materna” si dispiega un’esperienza affollata di voci e gesti, di scoperte e incantamenti, di malinconie prive di nome, di attese spaventate dai fantasmi dell’inaccaduto. Esperienza di un tempo che, in un certo senso, non è ancora tempo: al di qua, dunque, della scansione, del traguardo, del passaggio. Tempo senza orologio, immobile: ma, in quella immobilità, si aprono ventagli di suoni, sinopie di ricordi, inseguirsi di voci.



Nella metafora ci sono tracce dell’intesa tra il vivente e il linguaggio. Per Vico la tentata riduzione del mondo ai sensi, e la descrizione delle cose a partire dall’universo corporale, sono i due movimenti con i quali il linguaggio si costituisce, la conoscenza si forma. Il corpo come recinto di una mutazione del vivente sensibile nel vivente linguistico, ma anche come opaca transenna che divide l’enigma della physis dalla sua morfé, dalla sua apparenza, dal suo mostrarsi, e separa l’energia dell’universo dalla sua lingua. Le “cose insensate” da una parte e il senso e la passione dell’uomo dall’altra si incontrano nello specchio del corpo. Ma in quello specchio si riflettono anche, in una vertigine d’angoli e di colori, le figure sfuggite all’oblio.



Anche la parola di Char come quella di Leopardi (uno dei suoi “ascendenti”) è sorvolata da stelle, “der sternüberflogene wort”, per usare le parole di Celan. Ma non c’è in Char una crittografia stellare, un enigma stellare: nessuna devozione da decifratore. L’elemento astrale è sulla terra, sulle acque, nei colori delle albe. Le stelle dormono sopra i cespugli e sopra le sabbie. Non sanno del destino, sanno della fatica dell’uomo.



Di Yves Bonnefoy potrei dire quello che Nietzsche diceva di Leopardi: amo i poeti che pensano. Infatti la poesia di Bonnefoy è un pensiero che mentre evoca presenze interroga i confini stessi del pensiero. Mentre ospita un albero, una pietra, uno spicchio di cielo, un colore scrostato di pittura, si spinge sulla soglia dell’invisibile, leggendo le sue ombre. Mentre ascolta un passo nella sera, un rumore di vento o d’acqua, mentre accoglie figure provenienti da un sogno, cerca un radicamento nel qui, nella opacità della terra. E allo stesso tempo libera l’ala dell’altrove, il pensiero dell’impossibile. E tutto questo accade nel ritmo aperto, da adagio meraviglioso, del verso. O nel ritmo di una prosa che ha portato la tradizione francese dell’essai, del saggio, verso forme nuove. Verso forme in cui la descrizione di un’opera d’arte è racconto, il ricordo è meditazione, l’analisi è evocazione di figure e di luoghi, insomma la scrittura è esercizio di una libertà inventiva estrema, ma anche discreta, quasi confidenziale: esperienza che mette in campo un sapere conoscendo la fragilità del sapere, la sua debolezza dinanzi alla presenza insondabile del vivente.

                                                                                                 

   

Francesco Terzago

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La poesia di Francesco Terzagoè attraversata da un'inquietudine che ha nel sentimento del naufragio imminente la sua cifra esistenziale. Tutto è destinato a scomparire: questa verità originaria tormenta l'anima bella del giovane poeta che vorrebbe resistere, scansare il destino che accomuna i mortali, pur consapevole dell'impossibilità di tale impresa. La sua poesia mette in forma questa angoscia, risolvendola in frasi dal forte impatto comunicativo, a bassa tensione espressionista, frasi dal ritmo scandito dagli enjambement e altrimenti piane, per meglio raggiungere il destinatario. Al quale si chiede di partecipare emotivamente, di riconoscere una biografia esemplare, in verità senza particolare accadimenti: una biografia piccolo-borghese, moderna perché in essa, noi del primo mondo, possiamo riconoscerci; una biografia la cui originalità – niente affatto trascurabile – consiste nel recente soggiorno cinese. L'0ccasione, tuttavia, non dà a Terzago la stura per digressioni storico-civili, mettendo a confronto due modelli culturali (come fa Luciano Troisio, per esempio), ma soltanto amplifica il sentimento di caducità e solitudine dell'autore. E la storia, pascolianamente, diventa forza arcana,  misteriosa, che muove i destini, alla quale contrapporre i legami parentali e affettivi.

Che cosa tutto ciò abbia a che fare con la "Nuova poesia civile" il cui manifesto lo firmò lo stesso Terzago assieme a Matteo Fantuzzi, Lorenzo Mari e Guido Mattia Gallerani (cfr. Nazione Indiana 5/02/11), sinceramente non lo capisco. A meno di non intendere "civile" come un generico riferimento alla civis, a un pubblico urbano che partecipa all'emotività dell'aedo, la cui epica coincide appunto con la propria cifra biografica. Così facendo, tuttavia, egli capovolge il concetto di epica, laddove l'aedo, fra gli achei, cantava il loro destino comune, metteva in scena e giustificava non se stesso, bensì il presente del popolo vincitore. Terzago fa il contrario: canta il proprio destino e vorrebbe che il popolo-pubblico ne riconoscesse l'esemplarità, il suo valore paradigmatico. Come scrive T.W. Adorno nel Discorso su lirica e società, "La creazione lirica spera di conseguire l'universale attraverso un'individuazione senza riserve". Direi che Terzago scrive nei paraggi di questa definizione, tentando, quale cifra originale, di coniugare la narrazione con la drammaticità, la distensione del genere racconto (nella sua declinazione allegorica) con la concentrazione della cellula-frase, descrittiva anziché metaforica, al fine  appunto di non disperdere l'attenzione e la comprensione dello spettatore. Che – in sintonia con il manifesto della "Nuova poesia civile" – vorrebbe non professionista, ingenuo, uso più alla prassi che alla teoria, con la scusa che la poesia italiana contemporanea, proprio perché invece ha cercato un pubblico specializzato, infine l'ha perso del tutto. Su questo argomento sarà tuttavia il caso di tornare ancora.



DaIlrumoredifondo,in'CriticaImpura'(testirivedutiecorretti).


8.

Mi dici che c'è nebbia e che fa molto freddo.
Qui è lo stesso, anche se quasi diecimila chilometri
mi separano dalle tue mani. Non vedo i condomini,
bianchi, al di là della strada. Quelli che, solitamente,
quando al mattino scrollo via il sonno dalle finestre,
mi attendono serrati nelle loro schiere. Rossi tatzebao,
dorati caratteri, porta celeste, sono cose al di là
del sipario. Così io mi convinco che su tutto
il nostro pianeta sia sceso questo manto. Che là, dove
non vediamo, stiano agendo forze indicibili.
Il mondo che, domani, ci si parerà dinnanzi, sbattuto
nel vento di cristallo, non sarà lo stesso dei giorni
che hanno preceduto questa circostanza. Sarà
un altro mondo, un mondo dove latenti saranno
le forze dell'incanto. Ogni persona recherà con sé
questa terribile verità e, per questo stesso motivo,
taceremo l'un l'altro il nostro male (il male è il tacere,
il tacere è il male). Imboccheremo una strada dopo l'altra
sino a quando, soccorsi dall'opportunità, al di là della svolta,
improvviso, sarà il mare. Aguzzo, verde, esausto,
rosso, terribile. Cammineremo sulla diga foranea
sino a raggiungere il nostro posto in prima fila.
Repentini squarci tra le nubi e luci mulineranno.
La statua della Madonna e del Cristo riemergeranno,
mute e immacolate, dal fondale dove furono deposte
da un gruppo di subacquei più di quarant'anni fa,
le onde disporranno queste due cose sulla pietra
come pezzi di sughero sbiancati. A distanza di
qualche anno da questi eventi ci saremo del tutto convinti
che uno strano sogno sia stato messo sullo schermo.
Sarà stato uno scherzo del sangue, nostro nonno (o bisnonno)
non era stato forse schizofrenico? Chiameremo questo
disturbo, nei nostri dialoghi interiori, fervida immaginazione
post- adolescenziale. Torneranno i dubbi, le incertezze,
quando, lungo una mulattiera dalle parti di Pian Nava,
incroceremo uno sconosciuto, sarà come rivedere
un vecchio cane con il quale, negli anni, ci si è guadagnati
una certa confidenza. Ci si saluterà con un reciproco
cenno della testa, dopo un istante d'esitazione.



11.

Mi sto ammalando, sto seppellendo
la mia giovinezza nella pioggia. Trascorro
giornate intere ad aspettare lettere
che non arriveranno. Mi propongo
per improponibili lavori. Ogni mattina
raccolgo dal cuscino ciocche di capelli.
Le nostre brevi conversazioni
non mi rincuorano più.
Mi dici torna, torna in Italia. Non posso
tornare perché qui c'è ancora tanto,
tanto lavoro da fare. Ti chiedo aiuto,
dici; probabilmente hai ragione,
te lo chiedo sempre, aiuto, aiuto,
aiuto –, lo fanno spesso, quelli
della mia schiatta, nell'amore
della solitudine, del rifiuto,
lo chiedono spesso ma mai
mai volendolo. Sarebbe solo il pretesto
per una sciarada, per una sarabanda di un giorno,
di una notte o due. Mi manca la tua lunarità,
il fazzoletto di zinco che ti leghi attorno al collo,
le labbra, il dolore. Questo che si è seduto al mio fianco
è uno schietto distacco, non già sofferenza,
è questo il mio male, ciò di cui soffro,
essere abbandonato da me.



12. (già su Glamour)

Siamo entrati nel nuovo
appartamento, diciannovesimo piano,
vista sui grattacieli che stanno rimpiazzando
uno degli ultimi villaggi. Pulendolo
ho avuto modo di comprendere che la polvere
ci è sgradevole sono in modo transitorio,
poiché con l'umidità di Canton presto
si raggruma, si fa terra, si fa muschio bianco,
erba nera; chissà – con la dovuta pazienza
sarà la radice, che scenderà giù, nel profondo,
tra le scapole. Non sono mai stato un buon cristiano
ma mi dico tra me e me, polvere sei, polvere
ritornerai – tu, amore, dall'altra stanza,
mi chiedi se ti stia chiamando, ti rispondo
che vita siamo, vita – siamo.



14.Epilogo

Hanno trovato una massa nella mia
gamba destra. Sono andato all'ospedale con
Leonardo, un amico biologo che conosce
bene il cinese. Dopo pochi minuti mi hanno
messo sotto alla macchina per le radiografie.
Quando ho avuto tra le mani le lastre
ho ammirato lo spettro eburneo
del mio scheletro emergere da una verde
oscurità. Era immacolato, sacro, inviolato.
Questa è la memoria delle ossa, dove vengono
impressi i marchi dei dolori barbari.
Le scalfitture della baionetta, le fenditure
dell'ascia, le esplosioni della mazza-ferrata,
la frammentazione date da una scarica di proiettili.
Devo constatare con rammarico che per quello
che potrebbe essere il mio male della mia guerra,
così silenzioso, così moderno, così piccolo-borghese,
non vi sia spazio in questo libro. Lui resta là,
dentro di me, a suo agio nel calore della
mia carne. Chiedo al medico cinese di
che cosa si tratti – non sappiamo, mi risponde,
non lo capiamo, ci vorrà tempo. Mi suggeriscono
di stare tranquillo, di tornare a casa,
di vedermi un bel film con la mia ragazza
e magari, di fare l'amore. Se nei prossimi tempi,
quella duna giallastra alla destra della mia tibia
dovesse crescere, iniziare a prudere, a dolere,
a bruciare, conoscerò la TAC e la biopsia.
C'è una pudicizia che non mi ero aspettato,
usiamo solo pronomi per rivolgerci
a lui, alla cosa. Potrebbe essere un brutto male,
la mia fanciullesca curiosità per l'Antico Egitto
si risveglia in quello che, qualche giorno a seguire,
scopro potrebbe esserne il nome. Allora
non resta che rincuorarmi, trovare conforto.
Di certo, il mio destino non potrebbe essere
lo stesso del Grande Rimbaud. Non c'è spazio
nella storia della Letteratura per due poeti colpiti,
irrimediabilmente, dallo stesso male. E,
d'altra parte, seguendo il medesimo ragionamento,
potrei essere ancora più confortato nello scoprire
di non essere affatto un poeta, al più
un mesto scribacchino che sente, sordo,
il rumore della lontananza. Che trova
rifugio, poveretto, nella Patria della sua lingua.
Ma certo è che esiste una memoria delle Lettere o,
per meglio dire, una memoria della carne. Dove
era l'oblio ora sta la parola. Dove stava l'erosione,
l'inondazione, la paura, l'estinzione, l'umiliazione,
il dolore e il sopruso, ora sta la consolazione, la parola.


Inediti


2.
Quando eri bambina volevi guidare le ruspe o altri
mezzi da demolizione ancora più ingombranti, oppure
fare la benzinaia, per conoscere persone, storie,
e strade che, solo accidentalmente, si percorrono.
Quando vieni a trovarmi guidi con lentezza, come ti
ha insegnato tua madre, nello stringere il volante
c'è la franchezza di tuo padre. È sempre il martedì
mattina che vieni qui, vorrei ripetertelo che
non mi offendo se quelli che ti accompagnano
non sono tulipani o calicanti, basta che non siano
fiori di pezza, perché se mai ti dovessi vedere
con quelli, emergere appena da una busta
di plastica, tutto per me sarà finito. Il luogo
dove ci incontriamo, manco a dirlo, è sempre
lo stesso, l'indirizzo non dovrebbe cambiare per
almeno una quarantina d'anni. Di rado incontri
altre macchine e, se questo avviene, trattasi
dei ragazzini che, marinata la scuola, vengono
da queste parti a fare pratica: fanno degli otto
come mosche impazzite, provano le partenze
in salita, altri sgommano scagliando nel cielo
la ghiaia del parcheggio. Alzano la polvere
e questa poi ricade su tutto quanto, e tutto,
così, si dipinge di giallo. Mi dici della schiera
degli alberi che è stata cimata;
dei negozi che hanno tirato giù la serrande
per l'ultima volta, delle tendine rosa di quello di tua zia,
inaugurato il mese scorso con i risparmi di una vita.
Tua madre è mancata il Natale scorso,addormentandosi
sul divano; ragguardevole, anche in quell'occasione,
è stato il suo pudore piemontese, perché nessuno
degli ospiti ha saputo del trapasso prima
di essersene andato. Dici che non hai ancora avuto
qualche giorno da dedicare al dolore perché al lavoro
non hai voluto dire niente. Mi racconti di nuovo una
delle mie storie preferite, e tu sai che è una
delle mie storie preferite: attraversavamo il parco
per andare a pescare girini. Ora ti senti gonfia
come una ranetta. Non nascondi la tua sorpresa,
quando mi dici che la panchina se ne sta ancora là,
piantata nel cemento dell'argine come una siepe di ferro,
che fischia, che mettete scintille, oggi come allora. È
l'effetto dei temporali estivi. Ci andavamo assieme
per provare il rumore della guerra, a vedere i fulmini
abbattersi sulla ghisa e rimbalzare tra le code di volpe.
Vuoi portarci il bambino – a giugno, quando sarà
finita la scuola, attenderai il cielo più nero e la pioggia
più fitta. Andrete là perché la veda scagliare fuoco azzurro
in ogni direzione, sfrigolare nel vento e sotto la pioggia;
vorresti far sentire a questo figlio l'odore di ozono,
la nausea dell'elettricità perché, almeno, si abitui
a quella di vivere. Perché conosca timore,
soprattutto amore, per tutto il creato.



3.

Fra cento metri è la discesa – la strada scompare
e noi scompariremo con lei. Scomparirà
nella pioggia che scintilla, nei coppi
che scintillano, in un mare di zinco. Guardiamo
inabissarsi il furgone che ci precede, la cerata verde
gettata sul carico schiocca e pulsa, è il tappeto volante
sul quale viaggiano i nostri sogni andati.



DaGenerazione Entrante (a cura di Matteo Fantuzzi, Ladolfi Editore, Borgomanero, 2012.


Dedica
Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo
all'inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio
Calvino, Le città invisibili


Mia nonna mi chiamava tesoro, lipscén
diceva e mi appoggiava una mano sulla testa
e mi diceva che era stanca. Vedi lipscén le stelle
che sono sopra di noi, il cielo, – l'universo che
non ha confini pensa – a tutte le cose che ci sono
dentro pensa agli anni che ci separano e pensa
a quante persone,  in questo preciso momento,
ed è possibile che sia così – tesoro, lipscén si
staranno parlando delle stesse cose, e ci sarà una
brutta donna come me che piange dicendo al nipote
cose come queste. Lassù vorticando su delle
pietre azzurre come la terra – che è una pietra azzurra
anche se il suolo è velenoso e non devi mettertelo
in bocca quando fai i tuoi giochi, mi raccomando
lipscén, tesoro, e pensa che siamo degli atomi
tenuti assieme senza un apparente motivo, perché
siamo fatti così? Fatto sta che lo siamo. E che
questi atomi ci saranno sempre, – questi atomi
ci saranno, anche quando io non ci sarò più, –
in questo modo – e non mi potrai parlare né
ascoltare. E non ricorderai più il timbro della mia voce
che ora ti è così familiare, – né questo volto rugoso
con cui ti addormenti. Perché mi sarò fatta cremare.
E mi si potrà tenere in una scatola per le scarpe
se lo vorrai. Ma quegli atomi lipscén, tesoro, chissà
che il tempo non passi per essi a una velocità differente,
che per loro il tempo sia ben poca cosa, almeno
a confronto del nostro. E io ti aspetterò in una sala
come questa o migliore. E ci sarà un momento in cui
questi atomi si riuniranno e io sarò di nuovo qui
e anche tu lo sarai, che nel frattempo avrai fatto la tua vita,
anche tu morto, passato per la vecchiaia –. E sarai
di nuovo. E ci troveremo assieme da qualche parte,
appunto. Tu, io, tua mamma, tutti quelli che vorranno.
Tutti assieme. E capendo la cosa incredibile che ci è successa
potremo stare assieme e non incontrare più la tristezza
di questa vita o il disfacimento. Sono molto stanca lipscén,
tesoro. È tardi, sono molto stanca. O forse saremo
gli stessi. Un'altra volta come questa, ma non ci ricorderemo
nulla di quello che siamo adesso. E non avremo da passare
assieme che il tempo che già abbiamo avuto, e faremo
gli stessi discorsi rammaricandoci di avere poco tempo,
io ti parlerò per l'ennesima volta di queste cose, e questo
inverno passerà ancora. E qualcuno ti chiamerà un giorno
che sarai lontano. Ti chiamerà per dirti che sono morta.
Ma sarai abbastanza cresciuto per affrontarlo,
quella voce ti dirà che ho deciso di farmi cremare.
Prenderai questa notizia come tutte le cose inaspettate e,
arrivato a casa, ti siederai da qualche parte pensando
a queste parole che ora ti sto dicendo. Ho tanto sonno,
mio tesoro.


***

La tapparella abbassata sta vibrando e il chiarore
che la attraversa mette un abaco sul grande tappeto
che ha portato dal magazzino di sua madre. Lei ora non c'è,
così posso fare i conti con i miei novemila giorni di vita.
Mi sembra una cosa ridicola. Un numero tanto grande
per qualcosa di tanto piccolo.
La plafoniera sospesa sul nostro letto
è un mondo di freddo sporco, una molle sfera di polvere
inchiodata al soffitto. Su quella calotta una bufera silenziosa
si flette su un gruppo di nomadi vestiti d'azzurro,
li vedo lì tutti i giorni, che non avanzano di un passo.




FrancescoMariaTerzagoènatoaVerbanianel1986,haunalaureatriennaleinLettereconseguitaaPadovaconunatesiinEsteticadelmondoorientaleconilProf.GiangiorgioPasqualotto,èLaureandoinLinguisticaGeneralepressolostessoateneo.Collaboracon:AbsolutePoetry,Poesia2.0,UltraNovecentoeScrittoriPrecari.Hapubblicatopoesiesu:ItalianPoetryReviewdellaColumbiaUniversity,LeVocidellaLunaeALI,èpresentenellantologiaGenerazioneEntrantediLadolfieditore.Alcunisuoitestisonopresentisuisitiweb:Smemoranda,PoetarumSilva,LaGinestra,NazioneIndiana,CriticaImpura,Samgha,Glamour;ilBo,dell'UniversitàdegliStudidiPadovaeIbrid@menti,blogcollettivodell'universitàCa'Foscari.HatrascorsogliultimidueanniinCinabeneficiandodiunprogettodiscambioculturaleericercadellUniversitàdegliStudidiPadova,inquelpaesestatuttoracurandodelleiniziativevolteallapromozionedellaLinguaedellaCulturaItaliana.HainsegnatoitalianopressolAccademiadiBelleArtidiGuangzhouedèstatocollaboratoreesternodelGuangdongMuseumofArt.


EUROPEAN POETRY TOURNAMENT 2013

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SELEZIONE ITALIANA PER L’EUROPEAN POETRY TOURNAMENT 2013


1)      La casa Editrice Pivec di Maribor (Slovenia), in collaborazione con l’Editrice Dot.com Press -  Le Voci Della Luna, organizza la selezione italiana per lo European Poetry Tournament 2013.

2)      Gli autori possono partecipare con una poesia inedita (si intende non stampata su carta, libro, rivista, o altre pubblicazioni) a tema libero in lingua italiana, che non deve superare i 60 versi.

3)      Il vincitore della selezione italiana sarà invitato a partecipare, il 16 novembre 2013, presso il Teatro nazionale Sloveno di Maribor, alla serata conclusiva con i rappresentanti degli altri stati che aderiscono all’iniziativa (Austria, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Ungheria, Slovacchia). Le spese di viaggio e alloggio saranno rimborsate dell’organizzazione. In tale occasione verrà nominato, da parte di una giuria internazionale, il Cavaliere Europeo della Poesia, e riceverà una rosa forgiata (simbolo del torneo) e un premio in denaro (1000 euro).
Oltre al Torneo di Maribor, si terranno altri due eventi promozionali: uno a Zalaegerszeg, in Ungheria, il 14 novembre 2013, ed uno a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina, il 26 ottobre 2013. Anche per questi la casa editrice Pivec rimborserà le spese di viaggio ed alloggio.
La poesia vincitrice verrà tradotta in Sloveno, Bosniaco ed Inglese, e pubblicata sulla rivista letteraria Rp./Lirikon e nell’antologia dell’European Poetry Tournament 2013.

4)      La partecipazione al concorso implica la disponibilità a recarsi agli eventi sopra specificati.

5)      La partecipazione è gratuita.

6)      L’invio degli elaborati dovrà avvenire, unicamente attraverso e-mail, a Francesco Tomada, segretario della selezione italiana, all’indirizzo sapunzachif@libero.it, entro e non oltre il termine  del 2 settembre 2013.

7)      In allegato alla mail dovrà essere inviato un file word (.doc), contenente una sola poesia, che sarà preceduta da un titolo o da un motto, e recante in calce i dati anagrafici dell’autore. Si sottolinea l’importanza del titolo o del motto, in quanto le poesie verranno inviate ai giurati in forma rigorosamente anonima, e titolo o motto consentiranno poi di risalire all’autore.

8)      Ai sensi dell’articolo 11 della legge 675/96 i concorrenti autorizzano l’organizzazione al trattamento dei loro dati anagrafici e biografici nell’ambito del premio. I concorrenti autorizzano altresì la traduzione e la pubblicazione della poesia nel caso in cui venissero selezionati.

9)      Il nome del vincitore della selezione italiana verrà reso noto, presumibilmente verso il 15 di settembre, sul sito internet Blanc de ta nuque (http://golfedombre.blogspot.com/); il vincitore sarà inoltre contattato personalmente.
Non sono previste altre comunicazioni personali dell’esito dei lavori della giuria.
I primi 10 testi che risulteranno selezionati dalla giuria (e fra questi il vincitore) verranno pubblicati sullo stesso sito.

10)  I nomi dei componenti della giuria saranno resi noti alla pubblicazione dei risultati.

11)  La partecipazione al Premio costituisce implicita accettazione di tutte le norme del regolamento.


12)  Per contatti e chiarimenti rivolgersi a Francesco Tomada, allo stesso indirizzo e-mail indicato per la spedizione degli elaborati.

Pausa estiva

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Svanezia (Georgia)
Buone vacanze!

Sisifogugl

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In sette anni di attività, Blanc de ta nuque ha messo in circolo internautico più di 300 poeti italiani contemporanei, noti & ignoti, molti dei quali sono presenti anche in altri autorevoli blog. La particolarità di Blancè che quasi tutti li ho recensiti io. L'effetto di tutto questo lavoro si è tradotto in un libro (giunto alla seconda edizione) e in qualche presentazione qui è là. Non molto, in effetti. Nulla da reclamare, tuttavia, se, sotto il profilo psicologico, non mi sentissi un piccolo Sisifo, che non vede fine alla propria fatica e ha una gran voglia di buttare la pietra-libro dall'altro versante del monte e dire ciao poesia, ciao, arrivederci

Mi spiego meglio. Recensire in rete significa ricevere decine di libri l'anno, senza sosta. Dietro a ogni libro c'è un autore con legittime aspettative che chiede ospitalità. E così via, senza fine. Leggi un libro, spesso dialoghi con l'autore, ci scrivi sopra e intanto ti arrivano altri libri e altre mail che aspettano risposta. L'ho già fatto questo discorso, però mai come ora Sisifo lo sento dentro.

La soluzione che mi sembra più ragionevole è alzare la posta, scegliendo meno autori e in modo più oculato. Scrivere di loro. I libri carini, buonanotte. Bene le opere prime, se riuscite. Qualche prefazione di altri se stimo l'autore. Tradotto significa che di 100 libri ricevuti, parlerò di 10 forse. Per gli altri, ringrazio anticipatamente, ma non avrò il tempo di spiegare perché non li ho recensiti. Non ci sto dentro con il tempo e con la testa. Soprattutto con la testa. In concreto: sul tavolo, già selezionati, ci sono circa 50 libri arrivati negli ultimi due anni. Se scriverò 3 recensioni al mese (ne dubito) impiegherò un anno e mezzo a esaurire la scorta. Più facile che siano due. Posto che ne abbia la forza, invito tutti a tenerne conto quando mi si invia un testo. Che è benvenuto, naturalmente.

Giulia Rusconi

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Di Giulia Rusconisi parla in luoghi autorevoli. Nei Nuovi poeti italiani 6 dell'Einaudi, per esempio, Giovanna Rosadini, pur non includendola, la definisce "certamente promettente". E in effetti, I padri (Ladolfi 2012) hanno un'unità d'ispirazione difficile da trovare in un'opera prima, tanto che il libro ha vinto il primo premio Poesia Giovane 2011 di Fiume Veneto e alcuni testi, titolati L'altro padre e prefati da Anna Maria Carpi, sono inclusi nell’antologia La generazione entrante. Poeti nati negli anni Ottanta (Ladolfi Editore, 2011). La Carpi scrive anche la prefazione all'opera prima di Rusconi, riconoscendone un umore di fondo di "forte straniamento verso il grottesco", ma anche uno spaesamento che chiede accoglienza, a partire dall'esergo "Eloi, Eloi, lemà sabactàni?" (Padre mio, Padre mio, perché mi hai abbandonato?). La posizione dunque è quella della croce, del momento in cui la mortalità splende in tutto il suo numinoso orrore e non si trovano ragioni fondanti che giustifichino la postura. In Giulia Rusconi, il tragico cristologico si converte, laicamente, in paura d'invecchiare: sentimento umano, troppo umano, ma certo capace di intristire le notti di chiunque, specie la prima volta che ci assale. Giulia ha quasi trent'anni e ne può quindi parlare con cognizione. C'è una poesia esemplare in questo senso, che coniuga bellezza e fragilità, saggezza e sentimento della caducità. Non chiama in causa un padre specifico, ma costituisce la sintesi di tutti: «Tutti mi dicono che sono una donna / e bella e che ho spalle ampie / gambe robuste di ferro. / "Cammina da sola ora". / Io non cerco che una mano / grande che mi copra tutta la faccia / non mi faccia invecchiare». In alternativa, chiede a differenti padri di riconoscerla, di insegnarle a parlare, di proteggerla, e ci racconta di come Elettra si faccia sedurre dagli innumerevoli fantasmi che suppliscono quanto un padre genetico non potrebbe concedere: leccarle i lobi, soffiarle in bocca il fumo, farsi succhiare le dita. È sempre la bocca, in Rusconi, il luogo del peccato. Anche scrivere poesie parte dalla bocca ma qui la colpa scompare, per lasciare posto invece a un eros autentico, non costruito, nato assieme al verbo. Un eros che mette in scena, in modo ordinato, un recondito inconfessabile, un misto di desiderio e di paura verso il Padre pagano, quel Tempo mortale che consuma e insieme eccita, qui incarnato appunto in un teatrino di padri minori, tutti inadeguati eppure necessari a tenerlo in gioco. La madri invece sono latitanti, controfigure dell'invidia o della debolezza, a volte tenere e spesso proiezione di sé, di un tempo in cui, uscita dal guado del chiedere protezione, intraprenderà la strada del dare protezione. Intanto, la Rusconi continua la sua interrogazione sul proprio bisogno di figure maschili, che edifichino un tempo abitabile, e sull'identità che rifiuta di liberarsi dalla dipendenza: Cura, da poco uscita su "Nuovi argomenti", conferma infatti il registro tematico e stilistico de I Padri, coniugando entrambi gli aspetti (figure maschili e dipendenza) nell'amore coniugale, che si dà quale relazione asimmetrica in cui l'io lirico è sempre sul punto di spezzarsi come una bambola di ceramica: "La miglior cosa che un uomo ha fatto /  per me è stata lavarmi / in acqua tiepida sfregando forte / e rivestirmi con cautela per non spezzarmi / braccia gambe e collo". Un io che sogna d'essere infermo, accudito giorno e notte non più da padri con cui sensualmente interagire, ma da infermieri capaci di mantenerlo nella sua "immensa beatitudine", un nirvana raggiunto con le flebo, anzi, meglio, uno stato prenatale permanente, scandaloso in un'epoca dove indipendenza e libertà costituiscono le leve dell'emancipazione.
C'è tuttavia un altro padre, meno evidente, ma decisivo: è lo stile, che sorveglia l'emozione e assume il discorso comunicativo quale veicolo relazionale; di esso Giulia si fida e si prende cura come una madre premurosa.



da I padri(Ladolfi Editore, 2012)


**


Tutti mi dicono che sono una donna
e bella e che ho spalle ampie
gambe robuste di ferro.
«Cammina da sola ora».
Io non cerco che una mano
grande che mi copra tutta la faccia
non mi faccia invecchiare.



**


Mio padre –il quarto –
mi insegna a scrivere.
Compitiamo poesie e per farlo
lui tiene la sua mano sopra la mia
e scriviamo insieme. La mia
è avvolta nelle sue dita che sono lunghe
hanno i nodi degli anni, sono
forti. Mi fa rileggere a voce alta
e mi si mette dietro
e mi lecca i lobi.



**


Sono col mio settimo padre
il più feroce. Tiene bene
le posate e mi insegna a mangiare.
Labbra piccate occhi in divenire.
Quando ero piccola mangiavo
con mia madre ma il mio settimo padre
mi toglie di mano le posate
mi infila nella bocca un occhio
di rana si fa succhiare le dita.



**


La mia seconda madre non somiglia a nessuno
è tenera di occhi schietta di mano
ci siamo viste tre volte, mi dice
che ha due gatti e un complesso paterno
in digestione perenne.
Non mi insegna niente e mi piace.
Mi guarda con i guizzi di chi ha fatto un patto
mi insegna a prendere posto
a disegnare contorni.



**


Dico le parolacce me le insegna
mio padre numero diciotto.
Mio padre –l’altro- le dice
ma di nascosto nel suo studio.
Uso metafore spinte parlo
di sesso e sadomaso. Mio padre
-il numero diciotto- mi insegna le brutture.
«E tu vuoi imparare a essere cattiva?»
Lo tengo perché è sfortunato, come me
è avido, e malato.



**


Mio padre il numero tredici è bello
è il più vecchio di tutti mi insegna
l’amore. Nemmeno mi sfiora
ma ha occhi di sesso mani di scimmia
labbra che incalzano e tremano.
Il mio padre numero tredici
mi fa venir voglia di fare l’amore
camminiamo a braccetto lo penetro
e afferro con la mia mano.



**

Guardo i miei padri ognuno
nel suo scanno conosco a memoria
le loro crepe i loro tic nervosi.
Ho un padre che non conosco
l’ho visto una volta so come si fa
chiamare so che non parla
quasi mai e che vive in una buca
piena di ossa di lupo
occhi di vetro e angeli maestosi.
Il mio padre sconosciuto è un visionario
mi insegna le allucinazioni
me le fa toccare.



da Cura



La miglior cosa che un uomo ha fatto
per me è stata lavarmi
in acqua tiepida sfregando forte
e rivestirmi con cautela per non spezzarmi
braccia gambe e collo
e cullandomi dirmi che mai più
avrei avuto bisogno di mangiare
io fatta d’aria, io sciolta nell’aria
uno zeffiro dolce pronto ad amare tutto.



**


È solo perché l’amore è buono però
dura quel poco che può.
Ed è tutto un sottrarsi uno stare
in bilico tra menzogna e menzogna.
Quella del fingere una sosta
vera e la vera pace
dei corpi offesi quella
di tornare poi nel mondo incerto
fingere ancora una qualche pacatezza
un’obbedienza cieca.
Comodo invece e eterno
è camminare cauta
e a piedi scalzi nella clinica
bianchissima della mia vera cura.



**


Io non mi muovo, ma ormai
non tollero nemmeno l’odore delle lenzuola.
Sogno una clinica o un pronto soccorso
una lettiga inamidata quell’odore
di farmaco e di pulizia. Gli infermieri
entrano e controllano la flebo
io non so più se è notte o giorno.
Che immensa beatitudine, che pace.



Giulia Rusconi è nata nel 1984 a Venezia, dove si è laureata in Lettere Moderne. Sue poesie sono uscite in varie riviste, tra cui «AbsoluteVille», «l’immaginazione» e «clanDestino». La raccolta Distanze ha ottenuto il primo premio Teglio Poesia 2012 per la sezione Under 40 in italiano. Parte de I padri ha vinto il primo premio Poesia Giovane 2011 di Fiume Veneto (Pn) ed è inclusa nell’antologia Lagenerazione entrante. Poeti nati negli anni Ottanta (Ladolfi ed., 2011). Questo è il suo primo libro.



William Stabile

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Nel nuovo numero de Le Voci della Luna (luglio 2013), trovate questa mia lettura di un inedito di William Stabile, sul quale ho già scritto qui. Probabilmente vive in Sud America, ma non ne sono sicuro. E' un irregolare, come piace a me, per cui su blanc ci sta benissimo.

Credo sia utile leggere "Dr. Livingstone, I suppose", parte del libro inedito La Forza degli Schiavi, come se fosse un blues, con i suoi tic tematici (e il suo ripetitivo giro di accordi): l'io che dialoga con Dio, che Gli racconta del lungo viaggio spaesante per conoscere se stesso e il mondo, del perdersi e del trovarsi tra le Sue pieghe, sempre con un leggero senso di colpa, in parte risolta con un'autoironia giocata in punta di lingua. William Stabile, su questa tessitura nera, ricama tuttavia una biografia bianca, dentro una realtà tardo-moderna dove ognuno cura il proprio orticello, e prende il taxi e gioca a sudoku, senza soluzione di continuità. Il procedere versale scarta rapidamente di lato, così che le scene, in questa preghiera infinita agìta dentro un capitalismo crudo, si succedono come le avventure dell'Orlando furioso, che qui, in apertura, si presenta sotto le mentite spoglie del Dr. Livingstone, che a propria volta sembra il doppio di Kurtz nel Cuore di tenebraconradiano. Tutto questo racconto senza rive, plurilingue, potrebbe essere letto come l'allegoria della scrittura, nostra pratica quotidiana dentro le tempeste e gli acquitrini della vita. La citazione di Plinio il Vecchio "Nulla die sine linea", posta verso la fine del canto, serve a ricordarci che il viaggio nella parola non ammette chiari di luna, bensì pretende esercizio costante, che non porta – pare dirci l'autore – in alcun luogo sicuro, ma ci tiene nel mondo, in una vigile presenza. Ed è questa la "nostra rivoluzione" non armata, pacifista.


Dr. Livingstone, I suppose !

“in te ipso redi, in interiore homine habitat veritas”
                           Sant’Agostino Le Confessioni

well
yes I am 
dear Stanley

io che avevo una fissazione
per l’uomo e
mentre ti aspettavo
ho letto la bibbia 4 volte
e mentre leggevo e leggevo
amavo osservare sulle rive
l’umana sofferenza
dentro le disgraziate
capanne negre

che orrore !  Stanley
che orrore !
tutto era profonda
tenebra

finalmente ho
capito

la vita è sempre
un dono
e non va mai
sfidata
(come ho fatto io)
Stanley

non c’è niente di nuovo
-per l’uomo -
sul fronte occidentale
le ragioni della polvere
consumano sempre nelle cose
è tutto sotto il cielo - e sopra
nulla
solo l’amore cambia

oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie

ero un parto scagliato
verso un mondo
in un arco una freccia
a cercare una traccia
prima che tu ci fossi 
eravamo già tu ed io
insieme  - Signore
e tu senza saperlo
eri già tutto in me
presente in me
dentro di me
& io attratto
mi allontanavo da te
e costruivo per me
un’architettura di dolori
e tu preparavi per me
opere e missioni
la mia speranza
che gradualmente
diventava parola
con architravi forti
di essenza
ponevo fragili
colonne di pensieri
e così per mia gioia
ripagavo te in una vita
para bellum
mordendo
un odio largo
quanto un lago
del continente nero

oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie

io intesi ingenuo
che utilizzando la sinistra
avrei cambiato il mondo
ma tu -Signore -
cambiasti me
mi indicasti la rotta
da funambolo
su soglie di luce
e segni e segnali che scegliesti
tu od io?
e venivi a me
con le tue idee
-le mie-
a partorire immagini
dal profondo ed ora
tutt’intorno
il mondo tuo
mi parla
la lucertola sul caldo asfalto
la bouganvillasul muro
bianco di calce
emettono un senso
di estremo linguaggio
lo sniffare del cane
emaciato  africano
sull’uscio della capanna
l´anello di comprensione
finora mancante
il muso umido
nel concavo del ginocchio

oh mio Signore 
tu sei tan grande
grazie

ti chiedevo (interrogavo)
mi dicesti
when you’re ready
you’ll find it
così   ho attraversato il mondo
e spesso in questo mondo
mi son perso -Signore
cercando  cercando
ma il mondo eri tu
e la mia casa
e nell’economia
dei sensi ritrovai
la rotta del dolore
che cessava
non era compito mio
cambiar(e)mi
mi feci solo da parte
e lasciai che l’alfabeto
s’incagliasse (sedimentasse)
sul fondo mio
di fango

oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie

qui radio londra
abbiamo trasmesso
alcuni annunci speciali

the streets of London
are paved with gold
a quei tempi vivevamo
in Gloucester Road
col sole dritto in faccia (fronte)
tutto era ordine e lustro
in UK ognuno curava
il suo orticello
& io non potevo
stare fisso
alla forca delle 7
non volli cedere
alla sconfitta pendolare
della cella del sudoku
ero ricercatore urbano
& africano
non impiegato
del verso capitale

oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie

camminavo per le strade
ma stavo
già viaggiando
osservavo le persone
la domenica nei bar
ben vestitepasseggiare
e sapevo 
tutto ciò
non mi appartiene
le case ben arredate
ed ordinate degli amici
in cui non potevo
essere partecipe
-se non a metà -

oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie

più che produrre reddito
piacere mio era
produrre idee
e solcare la traccia
per nuovi cammini 
e così decisi:
non attraversai più il viola
del parco della vittoria
monopoli del mondo
nei sentieri cercavo
una sintassi di parole
nei luoghi fluidi
mi compivo
esistevo
-straniero alla mia
stessa terra -
nella favela dell’anima
nella dissenteria spirituale
nei posti dove (de)strutturavi
la mia marginazione

oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie

e mi indicavi come
imparare ad essere niente
ed intanto apprendevo
a nutrire la (mia) calma
e tu venivi a me
a salvarmi dalla mens sana
in corporate sano  -Signore-
quando anche dei libri e
della poesia &
delle sporche scarpe di fango
era oramai
l’estremo ennui

oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie

la voglia irrefrenabile
di sovvertire l’ordine
a me che neanche
la BBC radio di notte
al buio della stanza
mi acquietava


io che
salendo in auto
salutavo tassisti
prima di pagare
la tariffa
credevo ancora
nell’uomo ma
ancora cosciente che
detengono il potere
a questo mondo
i poster delle ragazze
nude
nelle officine
ed il pianto dei bimbi
nelle tue messe
null’altro Signore

& era “nulla die sine linea”

*
così sull’orlo
di questo letto
inizierò  il mio verso
il più delle volte
ci si nutre di piccole cose
che poi si sommano a fiumi
parole affluenti
ed arriva il tuo verso
-oh Signore-
ad estuario o a delta
preciso o confuso
in tempesta sull’acqua
parola
ciò non importa

oh mio Signore 
tu sei tan grande
grazie

non importa dove scorra
l’alveo
-se rompa gli argini
la traccia-
è solo prendere la
faretra (penna) in mano e
scagliare frecce al cielo
che conta - Signore

oh mio Signore 
tu sei tan grande
grazie

tutto contiene l’uomo
l’oro ed il fango
l’unico dono
è dopo tutto
la forza degli schiavi
di ascoltare
la forza degli schiavi
di rialzare la testa
la forza degli schiavi
di guardare in volto
la bellezza e
solo degli schiavi
di aprire
sempre
le braccia
e sempre
al prossimo
che ti si para
davanti

oh mio Signore 
tu sei tan grande
grazie

perché tutto è
come deve essere
porterò ancora alta
nel vento la bandiera
bianca della nostra rivoluzione



Proroga scadenza premio EUROPEAN POETRY TOURNAMENT 2013

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Per dare l'opportunità a chi è da poco rientrato dalle vacanze 
di partecipare a questo importante Premio

( VEDI LINK), 

La casa Editrice Pivec di Maribor (Slovenia) 
l’Editrice Dot.com Press -  Le Voci Della Luna

hanno prorogato il termine ultimo per inviare il materiale a 
domenica 8 settembre


Matteo Bonsante

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Scritto nell'alveo ispirato di Dismisure, anche Simmetrie (CFR 2013) di Matteo Bonsante sperimenta la parola individuale immersa nella luce dell'universale, confermando che la grammatica della lingua può avvicinarsi, per via "aurorale", alla grammatica dell'essere, alla sua fenomenologia. La poesia metafisica dell'autore pugliese vuole insegnare la postura corretta dell'essere umano prima che questa diventi dover-essere. Come, nel Tao, la virtù soccorre soltanto se la Via è perduta, così egli non ci dice che cosa dovremmo fare per ritrovare pace e armonia, bensì quanto è scritto nel corpo del Cosmo, la "cosa in sé", e che noi dobbiamo conoscere affinché la nostra natura –  celeste e terrestre insieme – realizzi le proprie potenzialità. La poesia serve appunto, ci dice, "a riverberare / l'afflato e l'empito / dell'essere". Come scrivevo a proposito di Dismisure, egli abbraccia alcuni dei più importanti pensatori occidentali e non solo, proponendoci una poesia poco praticata in Italia, proprio nella misura in cui non vuole essere di matrice cattolica e/o mistico-mortificatoria, ma semmai sapienzale, come per esempio lo è quella di Tiziano Salari e dell'ultimo Viviani. A fianco di questa visione pacificata sul reale, convive tuttavia la consapevolezza che tra sapere e saper fare esiste una ferita incolmabile ("Ma perché la ferita/ ancora dissipa ancora separa?"), così come tra essere e essenti: la vita di ciascuno, in altre parole, è in quanto alterità che si è rifondata storicamente, cosi lacerando il legame ombelicale con la madre-tutto. Come accennato all'inizio, Bonsante non ci dice come sanare questo strappo (e come potremmo se non rifondando una teofania o una teocrazia), soltanto ci ammonisce affinché, con l'esercizio spirituale, ci liberiamo dall'io egoista che organizza i nostri rapporti di proprietà per riconquistare l'io profondo, un "infinito e / pur finito io" che si fa accogliere dal tutto, ma senza espropriarsi totalmente, senza appunto raggiungere le vette mortificanti del misticismo medioevale: un conosci te stesso forse di radice francescana come lasciano intendere questi versi: "Ed ecco il cammino, dolce e dolente, dell'uomo: / diventare infinito per condividere / le realtà altre che sono al di là del tempo / e oltre la mente. E, / in simmetria, / ecco l'essere che si distacca da se stesso / e diventa finito — in noi umani — per osservare / con occhi azzurri / il suo stesso esistere nel mondo".


 da Simmetrie (CFR Edizioni, 2013, pref. di Raffaele Urraro)


Sono le cinque e due minuti (ora legale)
di una giornate d’estate.
Fra poco il sole sorgerà e colmerà
la terra
             del suo splendente dono.

– Che sapremo fare oggi, noi umani,
di tanta luce
                            di tanta Gloria?



**



Lo spazio è specchio
in cui risplende il logos.
E si dispiega il mondo.

Nel mondo si rispecchia
l’io
       e traspare  Dio.

L’io sguardo simmetrico e 
viandante
                 della divinità.

E sua sezione aurea.


**


Eppure se la mia radice è eterna
e se posso scrostarla dai detriti
e dalle scorie che vi si sono
tenacemente depositate,
allora la mia vera essenza
           lacosa in sé
non è tra ciò che assiepa questo
nostro mondo
(il più delle volte agitato e stinto),
ma nell’essere, fuori dello spazio
e della mente.

In invisibile beatitudine, e amore.



**



Oh energia-logos che mi hai fatto
uomo e a te mi tieni e a me, legato.
Domani sorgeranno nuovi cieli,
nuovi appagamenti, e nuove seduzioni.
E il mio agio, la mia libertà,
sarà di slegarmi e di compararmi
alle tue leggi e risonanze.
E sarò roccia e sarò canto,
sarò l’umile stella che predicando
sorge all’alba per accompagnare il sole
e scomparire in un buio fulgore, 
mentre
un’ossuta favola si affaccerà 
e forgerà vite novelle.

Tra qui e un batter d’ali,
esserci… e in uno schioccar di dita,
svanire.

Affannata e vigile è la forma dell’io.
                 Il suo incompiuto, spesso
 tragico, simulacro.



**



Il più grande dono è essere nato
                          libero.
Libero di slegarmi da me stesso
e di dissolvermi nella tua impervia
infinità,  
            essenza e scopo del tuo/mio
esistere.

Conoscermi e
                         negarmi
all’inquietudine dei venti e della Storia
che non sanno da dove vengono,
né dove vanno.



**



Senza l'ardire dell'io,
senza il suo fermento, tragico e dolente                    
sulla terra,
senza il suo fluire in simmetria
del logos,
non avremmo mai conosciuto
la vastità del cielo,
né la tenuità delle lontane rive        
dove l’essere e il divenire sono
una stessa forma.
                     Una stessa fonte.  




**



Potranno mai le parole essere tanto
audaci e penetranti
da cogliere il più piccolo soffio
della cosa in sé?

Le parole son fervide di vita e di terra.

Possono descrivere e percorrere
l’intero universo
ma non sporgersi sull’altro volto
delle ore
se non per momenti
                                   scossi, aurorali.
                      
       *

Che si onori e si festeggi l’essere 
in simmetria di canti e di lodi.

Al modo degli uccelli.



**


Se l'essere è infinito e senza forma
anche la verità è infinita e senza volto.
Ed ecco il cammino, dolce e dolente,
dell'uomo:
                   diventare infinito per condividere
le realtà altre che sono al di là del tempo
e oltre la mente. E,
                                in simmetria,
ecco l'essere che si distacca da se stesso
ediventa finito — in noi umani — per osservare
con occhi azzurri
         il suo stesso esistere nel mondo:
un bel tramonto, il ciclo stellato,
una bianca e leggera nevicata
e le tante dissimmetrie che caratterizzano
la terrestrità:
i derelitti, i senzatetto, i sanspapiers,
i messincroce, i senzasperanza, gli
emarginati, gli errabondi, gli alienati,
 i disperati, coloro che non credono,
coloro che non vedono....

Volgiamoci ridentemente all'aura
che ci sostenta e ci sospinge verso
un gran domani.



**


Un lampo nell’ardente vela. Si
intravedono lucori in lontananza.
Esplode il cielo, la misura è alta.
Ciò che mi chiama è luce
                                            e solo luce.

Devo varcare me stesso e sigillare l’ora?
O girarmi indietro e rivedere il mondo?

Non c’è nulla da compiere o completare.
Il ricordo e il pegno cercano nuove labbra. 

Il mio scorrere è certo, acqua di fidata polla.
Estremo arcano annidato nella febbre delle ore,
nel fico d’India, sotto casa. E in me,
                                             nella mia voce.



Matteo Bonsante è nato a Polignano a Mare nel 1935. Vive dal 1976 a Bari, dove ha insegnato nella scuola secondaria superiore. Per la poesia ha pubblicato:

Bilico, poesie, Forum/Quinta Generazione, Forlì 1986
Ziqqurat, poesie, Centro Stampa 2P, Firenze 1996
Sigizie, poesie, Adriatica Editrice, Bari 1998
Poesie 1954 - 2004 (Bilico, Ziqqurat, Sigizie e le raccolte inedite: Esperidi, Nugelle, Prime poesie), Aliante Edizioni, Polignano a Mare (Bari) 2004 
Iridescenze, un diverso possibile sguardo, poesie, Aliante Edizioni 2007
Dismisure, poesie, Manni, 2010
Simmetrie, CFR, 2013


Fabrizio Pittalis

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Uscito postumo nel 2010 a cura di Marika Bortolami per il ilmiolibro.it, Molto spiacenti, Sir di Fabrizio Pittalis ha trovato ampia ospitalità in rete e sicuro consenso. Le poesie più mature evidenziano grande maestria ritmica e immaginativa oltre che la propensione a ricostruire il mondo con sguardo innamorato e materico insieme, che sa cogliere i particolari ("tutto un mondo in piccoli particolari") nella loro massima luminescenza, esattamente l'attimo prima che dirupino e scompaiano. Forse la malattia e di sicuro la sua grande capacità di osservazione hanno fatto di questo poeta un cantore della luce quando corrode le cose e le fa splendidamente mortali; una voce che stempra il tragico di questa verità con un impagabile senso dell'umorismo e una tenerezza che commuove. Pascoli ci troverebbe lo sguardo del fanciullino, ma di un fanciullino che avesse visitato l'inferno e ne fosse uscito "con il corpo di muschio" e "la testa a sonagli": creatura che mai sarebbe riuscita a confondersi con la piazza e destinata perciò a una solitudine esistenziale, forse amplificata dall'indole consumistica del turismo continentale in Sardegna (a questo proposito si veda la poesia intitolata, in un inglese 'parlato', Sammer on a solitari Ailand).
In un appunto inedito del 2003, Pittalis parla della propria immediatezza punk, "figlia della disperazione portorrese" (a conferma di quanto detto sopra), ma anche della sua passione per le parole, per i loro suoni, e questo fa di lui un poeta del significante, moderno, anche se lui non amava lo sperimentalismo della neoavanguardia, forse perché lo avvertiva come il prodotto di una casta intellettuale, lui che si sentiva invece ancorato alla vita, pur sapendo "che si va per tutto il mondo spettinando un po'": è una brezza la vita, che però asciuga e chiede "falsi / allarmi umoristici" e vie d'uscita in cui sia ancora possibile stare insieme, magari dimenticando "calce viva e piedi sporchi". A questo proposito, di lui si potrebbero usare le parole di Pasolini scritte su "Officina" a proposito di Massimo Ferretti: "Il suo sperimentare non è altro che il suo attaccarsi alla vita".
 La ricerca di una comunità degli animi lo portò a fondare il gruppo "Karpòs", al quale aderirono, fra gli altri, Alessandro Ansuini e Silvia Molesini. Gruppo che fece conoscere per primo le sue poesie e sostenne il progetto del libro, assieme alla Biblioteca Clandestina Errabonda di Parma, che ne curò la grafica, l'elaborazione e l'impaginazione. (citare sito). Quanto fossero importanti gli amici ce lo racconta lui stesso, in un capitolo in cui riprende alcuni loro testi, infilando "alterazioni o semplici mescolanze" così da "figliare" nuovi testi, legati agli originali. "Un giochetto – scrive – che mi sta emozionando un mondo". L'ultima sezione di Molto spiacenti, Sirè un racconto dal richiamo psicoanalitico, Invidia del pene, e dal sapore onirico-sperimentale, che ricorda il Pasto nudodi Borroughs, ma pieno di immagini originali e in linea con il sentire delle poesie. Un racconto che meriterebbe maggiore diffusione e riconoscimento, così come queste poesie, fatte conoscere da suo padre Luigi, con la sua semplicità e pazienza.





Dura Jole

Se in ogni modo tieni duro le parole
e dappertutto cadono i capelli

la punta della lancia te la tieni in tasca
e accechi l'angolo dell'occhio

accechi delicata la mancanza d'alleati
triangoli schiacciati senza voglia

sui tuoi cigli ( così diresti, forse in modo
involontario) strade impraticate

per sorprenderti legarti in basso
per risucchiati a strozzo dentro al tubo dello scolo

Jole - sudandoti ti chiamano le pile
i prati da lavare ad aspettar distesi

il sole lì tutte le sere tutte che s'assolve
l'orizzonte divorando e l'imbrunire pure.

Sai bene ( e ciò ti scuoce ) che si va
per tutto il mondo spettinando un po'.

(09 / 01 / 07)


Irreparabile

Mi portavi alla campagna per
un giorno vuoto
veloce e rustico
proprio quello che ci vuole
hai detto.

Io cercavo
nonostante le promesse di star fermo
e con la testa sopra il collo
nelle pietre un bel canguro
una forma da notare di leopardo

mi sentivo come fossi appena partorito

visto e rivisto

straordinariamente vecchio
dentro agli atomi nell'aria
mi guardavo di nascosto.

Godevamo degli sbuffi degli scherzi entrambi

solitari, belli e cristi
dermatologicamente quasi muti

sulla fronte
non avevi niente altro che una piccola eruzione.

Se non fosse stato per la prosa degli occhi
non saresti mai riuscita a scovarmi.
Me l'avrei forse cavata
col bluastro d'un cielo d'inchiostro
un agire da latte e biscotto
tra i ricordi delle elementari

così romantico

con un paio di stampelle sentimentali
avanzando
tra un quiproquo ripetuto di falsi allarmi umoristici
nascondendo ben dentro il cappotto
il mio corpo di muschio
la mia testa a sonagli
con viso da barbapapà
ed un cuore
che a schiacciarlo fa
piii-pò

( 14 / 03 / 2006)




Annusando certe crepe dell'estate



Non fu fuoco sulla faccia

forse solo terra dura

crivellata

sotto il peso della vita 

dell’“Avanti!” dell’erbetta… 

Dolci visi angeli morti

grossi rospi intermittenti

mai del tutto seppelliti tra i tendaggi

-- tutto un mondo in piccoli particolari --

costole di cani

infiniti lunghi spettri

luminosi di corolle e fiori informi

 incagliati per scurire i tuoi ricordi grano e luce in un colore.

(le due cose stanno sempre insieme)

... 

Per aria al mercato…

Un inferno di grucce e stoffe…

Fruttivendoli poco commossi per il calore dei pomodori…

Passeggiavi…

 E sfocava l’avvinghiarsi sessuato delle voci

pietre grosse troppo leste a sbriciolarsi

se il tuo dito se n’andava alla ricerca di qualcosa che piacesse

se s’apriva luminoso il paradiso in un momento principale

e saltava

luccicante

subitanea si squarciava la città. 

... 

Tutt’ignari dei pericoli i volatili ci sembrarono i più vivi

voli viola a capofitto scuri

volteggiando

negli sforzi delle nuvole e nel sole

e col fuoco del fornello dopo acceso azzurro in quel bel giorno

facevamo le scarpette lungo i fondi delle pentole

dimenticando tutti calce viva e piedi sporchi

l’altrui colore sempre più lucente

denti bianchi sani e forti

e un’altra nota non poco importante

il nostro essere incantata inconsapevolezza

il nostro buon funzionamento umano.

 ...

Dovette piovere molto sul clima indorato di quei giorni

ci muovemmo mosche negli occhi

fessi

caldi dentro ad illuminazioni e soli assenti

decapitati nelle intenzioni delle luci

e alcuni giacevano morti

e un morto canticchiava fra sé e sé.

Non si capiva il vespro

l’accecarsi nella luce attonita

il nero invadente sotto gli ombrelli nel sapore dorato dei corpi

dei sogni rubati ad immaginazione dalle menti degli altri

non s’avvertiva che poco quel sale sugli occhi

la vaga sensazione erotica

di madri felici cullando cullando fagotti di figli inesistenti

ma a noi la materialità non importava

la luce falsa

profeti indossammo del tutto anche noi i nostri occhiali fumé

e ancora nel sole altri corpi

cumuli di mani nel sudore nudo dei petti 

agnizioni squarciate di brevi momenti percossi

i figli dei figli dei figli giocavano ai morti

e un cane canticchiava fra sé e sé.

...

Moriva

da lontano

l’abc sulle lavagne sporche…

Nient’altro che improbabili insettini piccoli 

obbligati dall’invidia dei palazzi

perdemmo in pochi giorni il nostro onore

tra i giochi dei quattro cantoni.

Furono grandi risate come tagliole accecanti

e non ci impressionarono i cazzi puzzolenti dei soldati

le nostre donne bionde di menzogne e pastarelle

in ogni via il trionfo della gioventù splendente 

un peso perdifiato come d’allitterazioni collettive

e se n’andava via la grigia marcia eterna

l’esercito raggiante di uomini stracciati nella polvere

così innescammo ancora e quindi l’emozioni nostre

incinte di coriandoli e bombette.

Scontato un mio compare riteneva fossero soltanto favole

e seguitava a noia l’infinito delle trame e le sue ciarle

e a noi non importava niente

e alcuni giacevano morti

e un morto canticchiava fra sé e sé.

(12 / 06 / 2006)



A dialogar se stesso con cuore incompiuto



(Entra
e in un secondo è solo
senz'annuncio
sguardo assente di contegno)
«La mia giornata non è mai un disastro
la mia giornata è una prospettiva in cui regolarmente svengo
come un televisore interrotto
faccia china sulla tavola imbandita
ronzinando contro i miei mulini a vento
bollicine e vino bianco
orde intere di pollame fatto freddo
calze asciutte come paste
i contrasti di mutande
fuselli che danzano come panini nelle forchette
film bianco
film nero in fondo alla notte
cascate di note su note di sonno
completamente inventate.

Non sono mai stato un esteta
Non sono mai stato un asceta
Ma son tetto di campagna.
Mai stato fiero

(per dirla tutta non me ne vanto....)

Avrei voluto esser cielo d'ossa
per tutto quel che mi riguarda
ma una donna senza polpa non mi ha mai attirato
ho un senso dell'amore decisamente pornografico
mi ritrovo dentro a un letto nel disperdersi del dramma di un sospiro
mi ritrovo dentro a un letto a elemosinare un pezzetto di me stesso
che non sia di secco pane azzimo
non ho mai avuto fretta
d'esser crociato di sangue d'agnello
pieno fino alle orecchie del mio dolermi
bello da tagliarmi il collo
ma del resto sono un bugiardo
sono arbusto disinteressato
schiavo di una prospettiva
fughe di strade le mie catene,
simboli
alberi a dipingere il mondo
serie su serie di
-Torna al tuo posto ! -
-Torna al tuo posto ! –

-Torna al tuo posto ! -

Atomi fin dentro il naso.....

La pazzia
è del resto rimasta fino ad oggi un'utopia
probabilmente morta
nella luce trasversale d'uno sguardo
tutto è stato già detto come taciuto

la mia giornata è naturale scontentezza delle cose appena nate
naturale istinto di rifugio e simbolo
è ripiego di non detto
la mia giornata è un ragazzo che parla da solo
distratto.
E' un qualcosa che non mi ricordo....»

(si rannicchia tondo nello stomaco e traviato in un sospiro si rialliscia
svelto,
entra in campo l'altra voce interno corpo
sullo sfondo un cielo storto
un sole piatto)

E allora io qui mi chiedo ma che vuole questo?
Che diavolo richiede il giovinotto caramelle vino e Lexotan camomilla caffè Seropram aspirina
stricnina dritta al fegato di topo, figlia di sapori e sguardo di lupo come cagna spudorata che si gratta malamente il culo in terra......

E abbozzato mi rispondo :

«Da sempre hai sognato la gente che sanguina vermi
non hai mai sopportato il compulsivo dirti
il tuo unico ascoltare è l'ascoltarti
vedo i bruchi salutarmi di pupille tue
mentre
raramente ghiotto
in silenzio
fingo circumnavigazioni del tuo occhio»

ma lui sordo riprendendo:

«Mi ricordo che in un sogno riconobbi Magellano....
Fu pur sempre sfortunata nel suo vano farlo fuori l'isoletta dell'oceano
la sua gente nata morta di sprofondo dentr'agl'occhi
di quegli strani nuovi bipedi
ricaduti all'orizzonte come il mare giù dal cielo

io conobbi un galeone ammutinato
e gli dissi che a tribordo
sarei stato quello stronzo,
col coltello

...ma ora penso che sia inutile deviare

infiocchettare l'argomento

interessarci fintamente del discorso.....

La mia giornata è una cosa confermata senza senso
un'inquieta evanescente lamentela
è quel senso di insoddisfazione in cui cadi come un bimbo in bicicletta
è una smorfia di bambina sulla faccia
un triciclo senza ruota
una macchina distrutta dietro a un muro di campagna
è un pastore ottocentesco che passeggia
lacrimando
per Time Square
una sfilza di parole senza senso
una pagina trascritta in nonsochè.....

Lo sapevo !

Lo sapevo !

Lo sapevo !

( si graffiava la mia voce allora
urlando )

E lui avrebbe continuato
nel girare sempre intorno a quel discorso già trascorso,

risentito
e sarebbe irrimediabilmente stato vano ogni intento e tentativo d'ordinarlo, quando d'amplesso m'avrebbe risposto ( parlando di ragione e del suo dire )

«non ho mai cercato un retro-occhio,
io

l'ho sempre posseduto...»

.....
...
.


 (20 / 12 /2004)


Sammer on a solitari Ailand


Mi son trovato rotto
prezzato a soldo come un prosciutto
trattenendo a lungo il retto
dal disgusto dopo pranzo.

Sai che bello a tetragosto
dopo il male che ti voglio a Luglio
metter piede dritto dritto nel rigetto
voler correre grigio umido ratto
lungo vasca idromassaggio
a Porto Cervo
sui sorrisi a cento denti imbriciolati
sotto l'oro romanaccio
occhi a goccia sguardo massiccio
rosicchiando
eccitato a nominarlo il pecorino
stramagnando
spolverando la villetta
tavolino più amichetta
da vacanxa sexy very imbastita
assoluta
organizzata
con la evvre avvrotolata americana
la pistola di diamanti

la borsetta

il panfilo
con la solita naturalezza da deserto intellettivo
lungo il corso d'una gita quasi selvaggia
con la smorfia seghettata di piacere già pagato

l'espressione da caletta

mentre bevo
come un sorso d'acqua raggia
glugglugglù
cuoricino a carta straccia
con il viso più scolpito d'una roccia
e tua moglie mi s'appoggia con la crema sulla faccia
con la cola sulle labbra e le scarpe gialle gialle
con la zeppa
con il piede che trabocca di sua trippa
sempre troppa
mentre inciampa:

«Te l'avevo detto cara cicci che la strada era sterrata e poi il giovane si sentirà obbligato Dio non voglia a  strapazzarti un boccabocca....»


«O davvero mio ragazzo mi dispero che sul serio
non capisca l'umorismo
e mio marito
lei non sa lui com'è fatto...»
«Si farebbe accarezzare quel bandito?…»

E' pioggia cieca imbastardita e fango
sul selciato dei locali
sulle barche tipo fungo
dove anch'io lunette de soleil mi fingo
alta sul tacco
nel concorso di bellezza da starnazzo
col marito surgelato ch'è  un segugio tutto vizio
rinomato proprietario preterintenzionale
d'un'industria rotonda sul mare
che è un tesoro di disgusto

ma io affitto in prima fila un tavolino
un fiore plastico
ospitando nella vasca il paparazzo col boccaglio
con la maschera
e la foto della dolce metà bischera
mentre ride tutt'ignara sullo sdraio.
Ah! Ti voglio!
cento volte in rima fiore
amore dolore odore d'incenso tutte le sere
con la maglia col bronzetto
per sentirsi conficcare  la  Sardegna fin'all'osso
tutta una cosa aromatizzata  di mirto e deodoranti per il cesso
come nemmeno seppe spiegare il capo animatore del villaggio
svolazzando angolo in angolo
abbronzato
incatenato croce al collo
gambe come un fenicottero
occhi  bianchi scintillanti come due cucchiai d'argento
mentre  belle ragazze spazzavano merda cantando nei bungalow
e  i  tedeschi s'eran persi ricercando l'avventura a su '' Su gorroppu''.
E del resto
le vespe sciamano i bimbi nudi si tuffano
le vespe pungono le vespe odorano di nero e di giallo
hanno colori degni d'un supereroe
E io batto solamente la mia testa contro un muro di ristagno
come un pendolo
gongolo come sul dondolo
cuore malcurato
aggrovigliato
una matassa masticata senza bandolo
nel fonetico cianciare che v'abbindolo

genufletto e mi confesso:

sono piccolo e rosa.


(02/ 08/ 2003)


Fabrizio Pittalis nasce a Sassari, il 25 Dicembre 1980 E' vissuto a Porto Torres dove ha frequentato le scuole primarie e il Liceo Scientifico. Poi la Facoltà di Lingue e Letterature straniere di Sassari e seguito appassionatamente i corsi del Critico Massimo Onofri. Il suo talento letterario (evidenziato fin dalla prima infanzia) lo porta, oltre che a scrivere di suo, a fondare insieme ad altri scrittori il sito Karpòs. Nel gennaio 2007 muore per un Sarcoma di Ewing.



Dove trovarmi? Alcuni appuntamenti tra settembre e dicembre

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20 settembre a PORDENONELEGGE

ore 17,30 a Palazzo Gregoris
La ricerca della saggezza 
Incontro con Stefano Dal Bianco e Alba Donati.
Modera Stefano Guglielmin

Loggia del Municipio

Letture di Stefano Dal Bianco, Alba Donati, Stefano Guglielmin, Andrej Hočevar, Erik Lindner, Daniele Mencarelli, Christian Sinicco, Giovanni Tuzet, Adam White, Willem M. Roggeman.
Presentano Roberto Cescon e Piero Simon Ostan 

Crossroad of European Literature Project, in collaborazione con Vilenica Literarni Festival e Cùirt Literary Festival



23 settembre Schio. ACCADEMIA POPOLARE DI STUDI STORICO-FILOSOFICI
(tutti i lunedì ore 17,30 –19,00) Istituto Salesiani [il corso prevede l'iscrizione presso la Libreria UBIK, di Schio)
Sei lezioni su Gli albori della poesia italiana contemporanea: 1956-1976
 programma

1)      “Officina” e “il verri”: la critica al neorealismo e all’ermetismo;
2)      I “Novissimi”: Pagliarani, Sanguineti, Giuliani, Balestrini, Porta;
3)      Altre esperienze: Rosselli, Zanzotto;
4)      La poesia e il Sessantotto;
5)      I nuovi poeti della deriva: Cucchi, De Angelis;
6)      Approfondimenti delle questioni emerse: che cos’è la poesia?


19 ottobre, ore 18,30 LIBRERIA MONDADORI (Vicenza, Ponte Pusterla)

 DUE POETI ALLO SPECCHIO. Mara Seveglievich presenta Luigi La Vecchia & Luigi La Vecchia presenta Mara Seveglievich. Introduce l’incontro Ivana Cenci, coordina l’incontro Stefano Guglielmin.


26 ottobre, ore 21,00 SPAZIO NADIR (Vicenza, contrà Santa Caterina)

Stefano Guglielmin Presenta il libro di Giusi Montali, Fotometria (Edizioni Prufrock spa, 2013)


8 novembre, ore 20,45 CROCETTA DEL MONTELLO, Villa Ancillotti
lettura poetica di Stefania Bortoli, Roberto Cogo e Stefano Guglielmin all'interno della mostra di pittura L'anima nel paesaggio nel paesaggio dell'anima, di Graziella da Gioz.


12 novembre, ore 20,45-22,15 LABORATORIO DI LETTURA E SCRITTURA POETICA ARTEMIS(Vicenza, libreria Mondadori, Ponte Pusterla) [il corso prevede l'iscrizione alla seguente mail moderato_cantabile2006@yahoo.it]

10 incontri ogni due settimane, il martedì, tre dei quali dedicati alla lettura e al commento dei testi dei partecipanti. Saranno inoltre studiati i seguenti poeti: Nanni Balestrini, Alessandra Carnaroli, Giulia Rusconi, Guy Gofette, Mia Lecomte, Alba Donati, Enrico Testa.  

17 dicembre, ACCADEMIA FILOSOFICA ITALIANA (sezione Altovicentino)
(Valdagno, sala Marzottini, ore 20.30)

Stefano Guglielmin legge e commenta alcuni passi di M. Heidegger, Sentieri interrotti




PREMIO TOURNAMENT: VINCITORE E SEGNALATI

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La casa editrice Dot.com Press Le Voci Della Luna, in collaborazione con la casa editrice Pivec di Maribor (Slovenia), per il terzo anno consecutivo ha organizzato le selezioni italiane per lo European Poetry Tournament, il cui bando era stato pubblicato anche presso questo sito. I vincitori delle selezioni nazionali dei paesi coinvolti (Austria, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Ungheria, Slovacchia, Italia) saranno invitati a partecipare, oltre alla serata finale di Maribor, anche agli eventi promozionali che si terranno a Zalaegerszeg, in Ungheria, ed a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina.

Al segretario del premio Francesco Tomada sono pervenuti 85 elaborati, nonostante i tempi per la diffusione del bando siano stati quest’anno più ristretti che in passato. I giurati (Gabriella Musetti, Stefano Guglielmin, Daniela Raimondi, quest’ultima vincitrice lo scorso anno) li hanno esaminati in forma rigorosamente anonima, essendo ciascuna poesia contraddistinta solo dal proprio titolo o da un motto scelto dall’autore. La giuria ha constatato che tutti i lavori proposti rispettavano le condizioni previste dal bando, e che i componimenti di elevato valore erano numerosi: infatti la scelta del vincitore, all’interno del gruppo dei testi selezionati, ha richiesto una attenta e complessa discussione.

Il vincitore della selezione 2013, 
che parteciperà quindi alla fase internazionale dello European Poetry Tournament, 
è 
Marco Bellini, con la poesia “Il panno”.



IL PANNO

Alla fine il respiro
era tutta una corsa, come il fieno
in cascina per i giorni chiusi
sotto la saldatura di stagno.

Il rumore della ghiaia traccia la mattina;
è un rituale al posto della colazione
le due tazzine composte
si stava vicini.

L’annaffiatoio appoggiato alla colonna dell’acqua
la scopa per i petali caduti sono gli accessori
con cui prepari l’appuntamento.
Il loculo è in alto (l’unico disponibile)

la fila verticale e poi l’estensione orizzontale
questo muro impastato d’ossa dove le preghiere
tengono su il cemento.
Arrivi davanti alzi lo sguardo.

Non pensavi che alla morte
si dovesse trovare un posto
e che ne occupasse tanto;
era più una questione di scomparsa.

Avvicini la scala, sali, pensi che sia
d’aiuto prendere confidenza, prepararsi.
Bisbigli della casa, del giardino
che ha messo i fiori, il cane che aspetta.

Oggi fare l’amore è strofinare un panno
sulle lettere del suo nome, la fotografia;
picchiettare piano con l’unghia
sul marmo, magari sente.

I vostri corpi
hanno già parlato lasciato della carne.
I figli ogni tanto passano e tu
non ti decidi a scendere.



A  vanno dunque i nostri meritati complimenti.
La giuria ritiene inoltre opportuno segnalare, senza ordine di preferenza, anche altri lavori che si contraddistinguono per il loro elevato valore e ribadire la stima per i loro autori: Nadia Agustoni,  Rita Pacilio, Maria Grazia Calandrone, Davide Castiglione, Giovanni Turra, Gregorio Tenti, Luisa Gastaldo, Davide Racca, Elena Salibra, Marco Marrone, Pierluigi Rossi, Roberto Dedenaro. Le loro poesie verranno pubblicate in primavera sulla rivista Le Voci della Luna.

A tuttii partecipanti, indistintamente, e ai giurati indirizziamo il nostro più sentito ringraziamento per l’attenzione e la disponibilità dimostrata, augurandoci di incontrarci di nuovo il prossimo anno.


La segreteria


Blanc de ta nuque posterà nei prossimi mesi 3 finalisti alla volta, con una breve nota critica.

Annamaria Ferramosca legge "Le volpi gridano in giardino"

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in "Poesia", n.285 (settembre 2013), pp.56-57


Emergere è forse il verbo che meglio esprime la mia uscita da un magma vitalissimo, vale a dire da questa 'anomala' e ricomposta rac­colta di canti, in parte già editi. L'anomalia risiede nella volontà evi­dente di costruireun unicum accostando esperienze di pen­siero e linguaggio che abbiano l'impronta dell'accoglienza indiscriminata e per que­sto fertilissima. Questo crossover di gene­ri e registri, come rileva con acutezza an­che Paolo Donini nella prefazione, è il su­peramento del cliché della compattezza di una raccolta poetica, significa la necessità di guardare oggi verso un più largo oriz­zonte cognitivo-visionario, in un costante e dilatato incontro-scambio di poetiche. Così questa scrittura si fa materia can­giante, poliedrica, ribelle, civile. Capace di trasmettere, per esempio, da un ver­sante, lo stupore di fronte all'imprendibilità del femminile, dall'altro la presa d'at­to - amara - delle infinite macerie etiche del nostro mondo, con tutta la ribellione e il carico di un cambiamento necessario, a partire da sé. Nei Canti dell'amore co­niugale Guglielmin ha saputo trasporre in poesia una percezione nuova del femmi­nile di oggi: un'essenza di donna quieta e sapiente e insieme una specie di folle na­turalezza, quella misteriosa mobilità che assimila il femminile a una creaturalità incontaminata, pur nello scambio di carna­lità e pensiero ("animale che stagiona e ri­parte e ancora plana / riposa e di nuovo s'invola, mai solo"). L'autore capta, nel­l'essenza di donna, note mai prima evi­denziate nella poesia al maschile, note che esprimono quella capacità del genere di saper scomparire facendo spazio al "volo largo della specie", di attraversare con naturalezza la dimensione dell'uno per fondersi in quella corale - oggi più che mai necessaria -, quel suo offrirsi guardingo e insieme generosamente aper­to al destino. Tutto questo si trasmette lungo i tredici primi Canti e si concentra mirabilmente nei versi in cui si dice del gesto della compagna nel suo voler com­piacere il consorte chiamandolo poeta. Riconoscendo così di vivere, lui, la Gran­de Illusione della poesia con quella mas­sima autoironia che lo eleva e dunque lo elegge poeta. Nei Canti partigiani, la len­te visionaria-razionale si sposta sul male di vivere, quella incomprensibile nostra contraddizione dell'essere sociali e insie­me irreparabilmente a-sociali, la dimen­sione grassa dell'Occidente (per quanto ancora?),  la  sozzura  della politica  dei compromessi e della corruzione, l'incapa­cità del balzo etico globale, quello di ve­dere oltre e lontano, per il bene di tutti. E, nell'ultimo brano della sezione C'è bu­fera dentro la madre, Guglielmin trova un finale di grande impatto, nel rivolgersi con ironia anche a colui che lo sta leggen­do, nel rimprovero rivoltogli di essere su­perficiale, dunque non dissimile da colui che mette alla berlina. Sebbene, subito dopo, in "Voglio dire", l'onestà di pensie­ro fa includere anche se stesso nella folla di coloro che confondono "patto con inciucio" e parlano per luoghi comuni. Leg­gendo si è attraversati da una lingua che mescola note gergali vivide a un lessico pieno, naturalmente raffinato, da un rit­mo chiaro, a volte incalzante - personalissima cifra - che risuona in profondità, rendendo memorabile la scrittura. E, come l'autore spiega nelle note, lungi dal creare simboli-stereotipi, egli lavora nell'addensare metafore, che a noi appaiono incisive come colpi di scalpello sulla sta­tua-testo. La poesia ne emerge in un pro­filo nitido, vero, sulla scena di frammenti sparsi che non sono altro che il nostro quotidiano di pena e di vuoto. E su que­sta frammentazione della realtà e dell'u­mano appare fulminante, nel testo "In­canto", l'incipit: "Vendo monade con vi­sta", che sarebbe stato anch'esso un tito­lo significativo del libro, comprensivo del sarcasmo e - diciamo pure - del diverti­mento del poeta, che lo salva, e insieme salva anche noi, dall'annegare nel disin­canto. "Eppure la luce tiene in quella melma", dice Guglielmin, ritornando alla donna, figura che continuamente spiazza, dunque ricuce speranza, senza retorica, mentre il poeta la insegue spiazzando an­che lui chi legge, nell'offrirgli quella sua - di lei - parola che distrae, fruga, capovol­ge, addita. E, ancora e sempre, crea. Una scrittura che è specchio spietato, totale, della nostra inquietudine del vivere-pensare-comunicare, che appare come un manifesto del possibile canto dell'oggi.

Alba Donati

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Il bel libro di Alba Donati, idillio con cagnolino (Fazi, 2013), mette in primo piano il cerchio matriarcale plurigenerazionale, la casa del fare quotidiano e la natura-chora – attraversata dal dolore che le pieghe stesse dei luoghi e dei corpi custodiscono per creaturale disposizione – e intorno, in stato d'assedio, stanno il lupo e la storia, con le loro bocche bugiarde e affamate. Nella poesia tre porcellini le due figure si mescolano attraverso l'orrore nazista, che nemesi dovrebbe infine punire secondo giustizia. Un lieto fine che appartiene alle favole, al sogno, all'utopia e a questa poesia (che è, come tante altre, racconto offerto anzitutto alla figlia, un modo per tradurre l'orrore in canto e farle così amare la vita); un lieto fine tuttavia estraneo, nel complesso, a questo emozionante libro, che si chiude con la strage di Beslan, in un intreccio di cronaca e autobiografia: "Mentre entravo nella sala operatoria con una dose / leggera di anestesia totale, i terroristi ceceni e i militari / russi facevano saltare la palestra della scuola di Beslan". E' detto così, schiettamente, senza ipocrita pietismo e mettendo al muro tanto l'esercito russo quanto i terroristi ceceni, che hanno distrutto non soltanto, in astratto, l'innocenza – uno dei  fondamentali modi in cui Alba Donati guarda il mondo – ma anche le vite reali di chi ha perduto "il proprio volto, il proprio nome". Uno sguardo doppio, incantato e disincantato, regola infatti la voce qui dentro, similmente all'idillio leopardiano, come scrive giustamente Claudio Damiani nel risvolto di copertina. Il naufragio, per quanto dolce, non accade, ma tutto tiene perché il recinto è ben organizzato nel fare domestico e negli affetti: "non volevamo che sostare e chiedere conforto" recita la poesia incipitaria, "pomario" montaliano in cui "vi rimena l'ondata della vita". Altro non c'è, ma è già molto: "traccio una linea intorno al nostro letto: / questo è il confine! Faccio ordine, notte!". E' un cerchio sacro, caro probabilmente alla Dickinson, dove persino gli elettrodomestici e le merci del capitale-mondo rilucono diversamente. Nemmeno la TV, in questo idillio, è nemica, perché, se gestita con intelligenza, accende le speranze ("sul tuo viso scorre svelta / la luce dell'amicizia di Pooh e Pimpi / nei tuoi occhi fiammeggia il loro picnic"), e il consumismo è un rito di passaggio, come ci dice in La magia di Pegaso.

Gli uomini magni ci sono, padri scelti dai nomi noti: Cesare Garboli, Enzo Siciliano, Jean-Michel Folon e altri, morti più meno sereni e subito vissuti come "maestri"; uomini del sentire, non del calcolare, del dare anziché del ricevere, generosi e fragili: così ce li racconta Alba Donati nel capitolo intitolato appunto I maestri. E infine c'è Petrarca innamorato, l'archetipo, che in Scic moni (Laura, Petrarca e un cagnolino) apre le porte ai "capei d'oro" e all'andare immortale di tutte le donne del mondo, bambine, giovani, adulte, anziane, belle, brutte, tutte perfette agli occhi di chi ama.

Due parole anche sulla fattura dell'edizione Fazi: una sovracopertina patinata opaca, che ricorda i libri usati, leggermente ingiallita ai bordi, che emozionerà chiunque adori frequentare le vecchie edizioni; la carta usata per gli interni è invece una "usomano gr. 80" mentre il carattere di stampa è un "simoncini garamond" che si lascia leggere con facilità.


da Alba Donati,  Idillio con cagnolino (Fazi, 2013)


Notte di San Lorenzo 



Dormite insieme nello stesso letto
con i vostri ottant'anni di differenza,
del mondo non sappiamo più niente;
non ascoltiamo i telegiornali
né tantomeno compriamo un giornale,
abbiamo scelto il silenzio, l'accadere del giorno,
lo spazio intorno alla nostra casa.

Se c'è da andare in farmacia, andiamo
se c'è da andare alla posta, anche
ma per il resto abbiamo deciso
di coprire a grandi passi il selciato
davanti alla porta e di salire e scendere
le scale tante volte per prendere e portare.

Poi quando vengo a dormire vi separo:
ti metto nel letto piccolino e io prendo
il tuo posto nel letto matrimoniale.
Salgono gli spiriti nella stanza
attratti dalla mancanza di rumori,
anche un'aria stellata avvolge le mura
e noi veleggiamo tutta la notte,
tu alla ricerca della Strega Malefica,
io di te, e tua nonna di te, di me, e del suo primo amore.


La magia di Pegaso

Avevo letto che Sacrate, camminando per i mercati di Atene, si guardava intorno dicendo: di quante cose non ho bisogno!


Mamma, mi servirebbe - dici guardando la pubblicità
su Italia Uno - la magia di Pegaso, e proprio
mi servirebbe, perché non ce l'ho, il castello di Cenerentola
la Principessa e la Povera e il carrello di Barbie.

E a me serviresti, invece, solo tu
Pensa come si va a stringere la vita, il desiderio,
intorno a un unico punto, come una chiave a stella.   

E da lì, lento, quel desiderio scende
si trasmette a Pegaso, a Cenerentola, a Barbie,
alle Winx - Tecna, Aishia, Bloom, Stella, Musa, Flora –

a Fairytopia, Icy, Aurora, Polly e Bianca e Bernie
(Bernie! L'unico maschio, il topo-proletario,
il malvisto dalla società delle nazioni unite... ).
E così l'amore che ci serve ce lo siamo comprato tutto.



Idillio con cagnolino


La sera ci trova allineate nel lettone.
La luce del viale, dalla finestra,
disegna sul piumone una trama imperfetta
di alberi e foglie.
La gioia invece spinge la luce da dentro
i nostri corpi a uscire fino sopra i nostri visi.
Tu con il tuo libro "da grande", io con il mio libro dagrande.
Tu con la tua risatina da bambina, io con la gioia.
E tra noi, in fondo al letto, disteso a zampe in su
come chi guardasse il paradiso, il nostro cagnolino.
Mai Courbet avrebbe potuto fare di meglio
nel celebrare l'idillio di una sera cittadina.



Memoria


Chissà se i miei gesti nella casa
- aprire la porta del bagno per buttare
i tuoi vestiti nella cesta, riaccendere la luce
della cucina e poi spegnerla di nuovo
dopo aver innaffiato i fiori sul balcone -

chissà se questo che tu ascolti prima di dormire
sarà un giorno la tua memoria favolosa
come lo è per me lo scorrere dell'acqua
nella cucina fredda all'alba - quando mio padre
si alzava per andare a lavorare e quelle voci
che pianissimo si articolavano nel silenzio.



Cesare Garboli


Caro Cesare, per me non sei morto
ho tenuto i giornali del 13 aprile
sul comodino ma non li ho letti,
volevo scrivere di te ma altre persone
prendono il tuo posto nel morire,
volevo dire «se sei morto la morte non esiste»
ma niente, quando nella rubrica
digito la lettera G si accende su di te
tutta la luce del display ma vado avanti,
e ti tengo. Così senza una soluzione
continuo a vederti a Viareggio
come ti vidi nel giugno del 2000
bello come Marlon Brando in Apocalypse Now
finito e invincibile, a un passo dall'Aurelia
a un passo dal grande disordine
mentre come un proprietario terriero
di fine Ottocento mi aprivi la porta.



3settembre 2004, ore 11 - Beslan


Mentre entravo nella sala operatoria con una dose
leggera di anestesia totale, i terroristi ceceni e i militari
russi facevano saltare la palestra della scuola di Beslan.

Mentre dormivo senza sentire male nelle mani deimedici
sui piccoli nessun angelo scendeva, l'orrore camminava
a braccetto con la gioia. E tutto intorno rimaneva mattina.

Dopo piangevo un po', infastidita dalle fasce
e cominciavo a pensare quanto era duro in quelle
condizioni tornare a casa, alzarsi, raggiungere la macchina,
prendere l'ascensore, tornare a letto, nel mio letto.

Dopo vidi la tv senza capire, poi dormii.
C'erano rumori lontani, appena udibili, voci basse,
proverbi detti all'orecchio, in una lingua che non capivo.

Dio, quella notte, troneggiava nei miei sogni, urlava,
inveiva contro tutti, tutti, diceva, nessuno escluso.
Sembrava uno scrittore russo, uno di un altro tempo.




Alba Donatiè nata a Lucca e vive tra Firenze e Lucignana. Scrive di poesia su quotidiani e riviste. Ha pubblicato “La repubblica contadina” (City Lights Italia 1997, Premio Mondello Opera Prima 1998) e “Non in mio nome” (Marietti, 2004). Ha curato “Costellazioni italiane 1945-1999. Libri e autori del secondo Novecento” (Le Lettere, 1999), “Poeti e scrittori contro la pena di morte” (Le Lettere, 2001) e, insieme a Paolo Fabrizio Iacuzzi, il “Dizionario della libertà” (Passigli, 2002). Sua la cura anche all'edizione degli Oscar Mondadori delle "Poesie 1965-2000" di Maurizio Cucchi. Recentemente ha messo in scena con l’Orchestra Regionale della Toscana il poema “Pianto sulla distruzione di Beslan”.

Rita Pacilio legge Stefano Guglielmin

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Rita Pacilio, poetessa e cantante jazz, interpreta Se la voce, sola, di Stefano Guglielmin.

Musica di Dzijan Emin, Georgi Sareski, Luca Aquino dall’album The skopje connection – AmAm
Fotografiedi Salvatore Contessini.
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